Da tempo le parole “rigore” e “risanamento” vengono utilizzate come sinonimi nel dibattito pubblico, anche da parte di esponenti di primo piano del Partito democratico. Una scelta che avrà pure il vantaggio di rendere più fluide interviste, articoli e documenti, ma che non è affatto neutrale dal punto di vista politico. I due termini, infatti, non sono sinonimi. Il risanamento dei conti pubblici è un obiettivo, più o meno auspicabile. Il rigore – ovvero una più stringente combinazione di tasse/spese – è invece uno strumento con cui conseguire l’obiettivo politico del risanamento dei conti pubblici.
Anche accettando di buon grado che il Partito democratico abbia fatto proprio l’obiettivo politico del risanamento della finanza pubblica – giustificandolo con ragioni di natura sociale, equitativa o anche solo strettamente economica – resta da capire se il rigore sia lo strumento migliore per conseguire tale risultato. Sicuramente non è l’unico. Ad esempio, Lawrence Summers e Bradford De Long – due economisti che hanno lavorato il primo come consulente e il secondo come ministro del tesoro nelle amministrazioni guidate da Bill Clinton – hanno recentemente dimostrato come, in una situazione di crisi come quella attuale, il miglior modo di ottenere il risanamento dei conti pubblici sia realizzare una politica fiscale espansiva, cioè l’esatto contrario del rigore. Allo stesso modo, il Fondo monetario internazionale ha cominciato già da alcuni mesi una revisione di quelle che erano le sue tradizionali prescrizioni di politica economica, sostenendo che manovre fiscali meno restrittive dovrebbero facilitare – invece che ostacolare – il risanamento della finanza pubblica.
Non voglio spingermi oltre nell’analisi della letteratura scientifica o addentrarmi nella rilettura della storia economica europea e mondiale degli ultimi decenni. Quello che conta è che il Pd, accettando passivamente l’equazione imposta da altri risanamento=rigore non solo ha scelto un obiettivo, ma si è vincolato anche a uno strumento che non è per certo l’unico disponibile e secondo molti studi non è nemmeno il più efficace. Con questo doppio vincolo, l’unica cosa che permetterà di distinguere fra proposte politiche alternative – fra Agenda Montezemolo, Agenda Monti e Agenda Bersani – sarà la maggiore o minore attenzione che ciascuna darà al taglio delle spese piuttosto che all’incremento delle imposte. E dato che le forze progressiste si sono storicamente preoccupate di conservare, per ragioni sia equitative che di efficienza economica, una rete di sicurezza sociale più possibile universalistica, c’è il serio rischio che la sinistra italiana si sia messa da sola nel solito vicolo cieco di essere “quelli che vogliono aumentare le tasse” e quindi sia costretta a piegarsi per l’ennesima volta a un ricettario scritto da altri.