Non c’è molto altro da fare: se a pochi giorni dalla prima convocazione del Parlamento non si ha ancora alcuna certezza circa la fisionomia politica e istituzionale della prossima legislatura, l’unica è rifugiarsi nei libri. I libri sono anzitutto i manuali di diritto costituzionale, i trattati di scienza politica, qualche buon saggio di storia. Dai manuali di diritto costituzionale si potranno trarre indicazioni sul sacrosanto rispetto di regole e procedure nell’elezione delle massime cariche dello Stato (che, con buona pace dell’ormai incontenibile impulso alla democrazia diretta, vanno sempre osservate); dai trattati di scienza politica ci si potrà far guidare nella difficile impresa di formare un nuovo governo (anche se il problema della politica sta anzitutto nel fatto che conta sì la scienza, ma contano anche di più i rapporti di forza); i saggi di storia, infine, potranno forse servire a costruire paragoni e analogie per trovare un senso a questa storia (che, al momento, un senso non ce l’ha).
Dopodiché, avendo tutto letto e meditato, potremo anche prenderci una pausa e immergerci in una bella favola. Io mi sono risolto per le favole di Esopo, che presentano anche il comodo vantaggio di essere provvedute di una semplice morale, la famosa morale della favola, che mi esonera dal difficile lavoro dell’interpretazione. Così ne ho letta una, La volpe e il rovo, e la scelta s’è rivelata felice. Sentite: c’è una volpe alle prese con un bel leprotto. Un leprotto, si sa, è un ottimo boccone per una volpe, soprattutto se non ha tutta questa esperienza e si muove un po’ ignaro in un bosco tutto nuovo. La volpe che, si sa pure questo, è animale astuto, pensa che non deve assolutamente lasciarsi sfuggire l’occasione, anche perché nel bosco, quel giorno, non c’è molto altro da mangiare. Così gli si rivolge sorridente e gentile, nella speranza di trattenerlo presso di sé il tempo necessario per balzargli addosso. Ma stavolta accade il contrario di quel che avviene solitamente: la volpe non è abbastanza furba e il leprottino non è abbastanza ingenuo. Al primo balzo la lepre scappa e comincia l’inseguimento. E finisce male, per la povera volpe: che giunta dinanzi a un gran fosso, dove pare che il leprotto si sia dileguato, invece di gettarsi all’inseguimento nel dirupo si aggrappa al primo ramo che trova per frenare la corsa, ramo che però, per sua sfortuna, è tutto pieno di spine. A volte anche le favole possono non avere un lieto fine.
Ora, io temo che invece di badare alla morale voi siate andati a caccia di allegorie: magari avete creduto che il leprotto nascondesse in realtà le fattezze dei giovani deputati grillini, e che la vecchia volpe, non più furba come un tempo, fosse invece il Pd, così che tutta questa favola potrebbe tradursi in un invito ad andare fino in fondo (al fosso: lo spericolato piano A) perché tutt’intorno non sono che rovi pieni di spine (il funesto piano B). Ma invece io vorrei lasciarmi istruire più in generale dalla morale, la quale dice: «Spesso la paura dell’ignoto ci costringe a indietreggiare e a fermarci anche se questo, a volte, può essere meno vantaggioso». Il che in breve significa: non bisogna fermarsi, è il momento anzi di essere risoluti.
Nelle favole, in effetti, c’è sempre una prova che bisogna affrontare, un cimento che bisogna superare, un enigma che bisogna sciogliere, anche se spesso gli eroi che li affrontano possono ricorrere a talismani, portafortuna o superpoteri che consentono di superare la prova. La volpe invece si ritrova nella favola di Esopo a mani, anzi a zampe nude di fronte all’incognito. E arretra. Ma il favolista ammonisce: è sbagliato. Si finisce col leccarsi le ferite, e rimpiangere l’occasione perduta. Qual è però l’occasione che il Pd rischia di perdere? Cosa c’è dopo la prova? Una cosa sola: l’età adulta. Si tratti del leprotto, del cuore di una principessa o della conquista del regno, ti devi buttare.
Orbene, da qualche parte si legge che il Pd rischia di finire in pezzi. Può darsi che sia così. Ma non si può pensare che un partito politico, una leva di dirigenti politici si possa formare scansando gli ostacoli e navigando sotto costa. E non si tratta della retorica stantìa del nuovo contro il vecchio, perché ha il difetto di immaginare che questi passaggi necessari avvengano per legge naturale, dal momento che qualcuno invecchia e qualcun altro ancora no. Questi passaggi avvengono invece per legge storica, e nuova semmai è la situazione che si deve affrontare, nuova è la crisi (e vecchie le ricette, e vecchia l’austerità che anzi amplia il fossato e toglie appigli), sicché la linea vera passa tra quelli che intendono finalmente affrontarla – ciascuno a suo modo, ma affrontarla, e anzitutto riconoscerla – e quelli che invece si limitano a immaginare come sarebbe bello se non fossero chiamati alla prova, se gli appigli ci fossero, o ci fosse almeno una sponda destra del fossato a cui appoggiarsi. Non c’è, c’è il dirupo, e il leprotto nascosto da qualche parte.