Il mercato del falso

Cara Left Wing,
la storia di questa settimana è vera, anche se parla di falso. Al 580 di Nanjing Lu West, la strada dello struscio, dei grandi marchi e dello shopping, c’è un palazzo. L’insegna ufficiale dice “Hancity Fashion and Accessories Plaza”, ma tutti lo conoscono come The Fake Market, il mercato del falso. Qui a Shanghai ce ne sono altri tre, ma questo è considerato il migliore, quello con più assortimento. Sono quattro piani di negozietti, bugigattoli da due metri per tre, ciascuno specializzato in una certa tipologia di prodotto: felpe e t-shirt, scarpe e sneakers, borse e valigie, camicie da uomo, elettronica e così via. Tutto rigorosamente falso.

Di storie su quest’attitudine dei cinesi per la contraffazione, e più in generale per quel che noi chiamiamo “tarocco”, ce ne sono a bizzeffe – la mia preferita è quella del piccolo imprenditore di provincia che si finge ricchissimo, partecipa all’asta per l’assegnazione dello slot pubblicitario più caro della televisione cinese, la vince senza avere un soldo, torna alla sua città, convoca sindaco e segretario del partito, dice loro:  “Adesso sta a voi decidere se volete che questa città sia ricordata per essere la patria del più grande truffatore della storia del paese oppure la città natale di uno dei suoi più grandi imprenditori”; e quelli, impauriti per la loro carriera, obbligano il direttore della locale filiale della Bank of China a erogare al Totò con gli occhi a mandorla un finanziamento pari a due volte e mezzo il valore dell’asta: quello prende i soldi, li fa fruttare e diventa uno dei non pochi multimiliardari della nazione.

Comunque, ti dicevo: quel che puoi comprare al Fake Market l’ho sommariamente elencato più sopra e, quanto ai marchi, non sapendo se qui si possa far pubblicità non te ne farò l’elenco, ma diciamo che dei primi dieci che ti vengono in mente, sei o sette li trovi di sicuro. Su Internet trovi decine di pagine di recensioni, di consigli per la contrattazione, di benchmark di prezzo. Ma la cosa interessante, che è poi il motivo per cui ti sto scrivendo, è che i clienti del Fake Market sono solo occidentali: americani, italiani, tedeschi, francesi, canadesi – tutti. Ma solo occidentali.

I cinesi non comprano qui, anche se i prezzi sono stracciati: perché se hanno i soldi comprano i prodotti originali (che spesso costano più di quanto non li paghiamo noi consumatori evoluti del Primo Mondo); se non ne hanno, non comprano oppure comprano quelle che noi chiamiamo cinesate; se ne hanno ma non abbastanza comprano i cloni cinesi (che sono un’altra bella storia: uno dei più famosi atleti della storia della Cina, uno dei più grandi ginnasti di sempre, al termine della sua carriera ha fondato un’azienda di scarpe e abbigliamento che porta il suo nome – Li Ning; come logo ha preso il baffo della Nike, gliene ha aggiunto un pezzettino, lo ha rovesciato a testa in giù e oplà, il gioco è fatto: le scarpe sembrano Nike ma non lo sono, il flagship store sembra un negozio Nike ma non lo è, l’immagine è quella Nike ma anche no, si è pure preso Dwyane Wade come testimonial e nessuno lo può accusare di plagio: io lo trovo fantastico).

Se ti fermi all’ingresso del Fake Market non passeranno sessanta secondi prima che tu veda un occidentale che esce con uno o due sacchi di plastica nera pieni di roba, e non sono rari i casi di coloro che al Fake Market comprano prima valigie enormi (devo dirti che sono false anche quelle? No, vero?) e poi girano tutti e quattro i piani riempiendole di venti magliette A&F, quattro impermeabili Burberry, sette paia di Tiger, cinque borse Jimmy Choo e così via, in un’orgia di acquisto compulsivo che Freud avrebbe potuto farci un’altro paio di libri ad hoc. Insomma, la cosa fantastica è che noi veniamo qui per comprare cloni di minor qualità e molto minor costo degli stessi prodotti che troviamo a casa nostra, arrivando al paradosso di ritrovarci con armadi pieni di originali e copie contraffatte senza un motivo logico al mondo, mentre i cinesi o comprano l’originale – potendo e volendo poi esibirlo – oppure non se ne fa nulla. Io credo, cara Left Wing, che in questa storia ci sia una morale anche se non sono sicuro di saperla definire bene: ma se penso agli ultimi vent’anni di storia del mio paese, sai che mi si chiariscono un po’ le idee?

Lei forse nemmeno si immagina, da laggiù, quanto ha ragione.