A quasi dieci anni dalla nascita di Left Wing, abbiamo deciso di modernizzarci un po’: dal sito internet siamo passati alla rivista di carta, e ora persino a una festa, con persone in carne e ossa. Certo, al momento non è che ci sia molto da festeggiare, per l’Italia, per la sinistra e per la maggior parte di noi. E già che parliamo di noi, saremmo tentati di aggiungere che forse non c’è nemmeno molto da discutere: gli ultimi anni, da questo punto di vista, sono stati una potente lezione di umiltà. Se ripensiamo a quanto accaduto dalla caduta del governo Berlusconi a oggi, da quel novemebre 2011 in cui il capo della destra fu costretto ad abbandonare Palazzo Chigi dinanzi allo spettro della bancarotta, sua e nostra, non si può dire che le cose siano andate come sognavamo, né che tutte le nostre scelte, le nostre previsioni, le nostre speranze siano state coronate da successo.
Forse avrebbero ragione di ricordarcelo oggi i sostenitori di un’altra idea di sinistra e di un’altra idea di politica, tutti coloro che in questi anni si sono battuti per una sinistra che della sinistra nascondesse perfino il nome, per partiti leggeri, incentrati sul leader e sulla comunicazione, per una politica light. In fondo, potrebbero dirci, avete avuto la vostra occasione e si è visto come è andata: non pensate sia il caso di prendervi una pausa di riflessione? Rispondiamo subito: senza dubbio abbiamo parecchie cose su cui riflettere, a cominciare da alcuni errori di valutazione, ma proprio per questo una pausa dalla battaglia politica non ce la possiamo prendere e non ce la prenderemo. Del resto, coerenti con la nostra impostazione, da soli non siamo abituati nemmeno a pensare.
Left Wing è nato alla fine del 2003, come piccolo strumento di battaglia, a sinistra, quando l’idea di quello che sarebbe diventato il Partito democratico era ancora, per l’appunto, appena un’idea, un progetto che contava assai più critici che sostenitori, specialmente nel mondo dell’informazione (su internet non ne parliamo neanche). Abbiamo sostenuto l’idea e spesso criticato il modo in cui è stata realizzata (o non lo è stata). Ci muoveva la vaga sensazione che la costruzione di un nuovo partito non potesse essere solo questione di sezioni e organigrammi, ma nemmeno puro gioco di immagine e retorica da talk show. L’idea, insomma, che per costruire davvero qualcosa di nuovo, a sinistra, occorresse sì partire dal basso (e più in basso di dove stavamo noi, allora, con il nostro piccolo sito internet, era difficile stare) ma anche puntare in alto. L’idea che per costruire un nuovo partito e una politica diversa occorresse parlare anche di cinema, anche di musica, anche di televisione, telefilm e reality show. Tornare a parlarne, perché un tempo la politica non era certo confinata agli editoriali dei politologi, come è accaduto in questi ultimi, terribili vent’anni.
Negli anni novanta, dopo il lungo decennio segnato dai trionfi di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, i progressisti erano arrivati a governare negli Stati Uniti e in gran parte dei paesi europei. Ma è come se per raggiungere più facilmente quell’obiettivo avessero accettato di giocare con le carte dell’avversario, con le sue regole, il suo lessico, la sua visione del mondo. Mentre la sinistra si ritirava dalla battaglia delle idee per vincere la battaglia del governo, però, la destra faceva l’esatto contrario. Formando così in ogni università, in ogni centro di ricerca, in ogni istituzione internazionale, in ogni angolo dell’occidente aperto alla comunicazione e allo scambio di idee un battaglione di agitatori e propagandisti tanto più temibile quanto più inconsapevole della propria funzione. E oggi, con il senno di poi, occorre riconoscere che la stagione dei governi progressisti non ha certo cambiato il corso impresso alla storia dalla cosiddetta rivoluzione neoconservatrice di Thatcher e Reagan. In ogni caso, la stagione progressista è stata di breve durata. Ma quando la destra è tornata a vincere, con George W. Bush negli Stati Uniti, con Angela Merkel in Germania e con Silvio Berlusconi in Italia, obiettivamente, non si può dire che abbia esercitato un’influenza altrettanto effimera. Il nostro paese, l’Europa e il mondo intero, a cominciare dal Medio Oriente, ne portano ancora segni evidenti.
Dieci anni fa, quando cominciavamo a scrivere qui, eravamo proprio a metà di questo percorso, di cui ovviamente avevamo appena una vaga consapevolezza. Delle contraddizioni e degli errori di quella sinistra in disarmo, in Italia e in Europa, condividevamo probabilmente molte più cose di quelle che oggi ci piace ricordare. Fatto sta che quel disarmo dalla battaglia delle idee creava un vuoto, e questo vuoto provocava anche in Italia una sorta di innaturale prolungamento della stagione precedente: come se gli anni ottanta non fossero mai finiti e non dovessero finire mai.
Nell’estate 2005, quando a essere oggetto di attenzioni straniere erano le banche, ci siamo presi la nostra parte di critiche per avere contestato i ritornelli liberisti che allora andavano per la maggiore. Oggi, in compenso, dopo i casi Telecom e Alitalia, il nostro dibattito pubblico mostra almeno qualche segnale di preoccupazione, ora che è la stessa Commissione europea, con involontaria ironia, a parlare dell’Italia come di un paese in via di deindustrializzazione. Ma il declino dell’Italia non è cominciato oggi. E non è semplicemente una questione economica, come d’altronde è reso drammaticamente evidente dal mescolarsi sui giornali delle ultime notizie su Telecom e Alitalia da una parte, dall’altra sullo scandalo kazako, che ha visto funzionari di un altro paese dare direttive ai vertici del ministero dell’Interno, dirigere le nostre forze dell’ordine, disporre arresti e perquisizioni. Quella che abbiamo davanti è una crisi di sovranità, che non per caso si accompagna con la fase di maggiore debolezza e discredito della politica e dei partiti.
Per questo, ancora una volta, pensiamo ci sia bisogno di ripartire dal basso e di guardare, insieme, più in alto. Di provocare una discussione più radicale e più sincera sulla politica italiana di questi anni. E anche sulle scelte della sinistra, dei suoi governi e dei suoi partiti. Per questo abbiamo deciso di raddoppiare, estraendo dalla realtà virtuale di un sito internet un bimestrale cartaceo e ora anche una festa di quattro giorni, a Roma, da oggi fino a domenica. Perché pensiamo che tutti gli errori di cui sarà sempre costellato il cammino della sinistra, come di ognuno di noi, non siano una buona ragione per starsene a casa.