Con la sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” emessa dai giudici della III sezione penale della Corte d’Appello di Milano si è forse definitivamente chiusa una delle vicende più oscure e misteriose della storia recente. Si tratta di un episodio che ha segnato in maniera determinante la vita economica e politica della Seconda Repubblica. Oltre otto anni sono passati da quell’estate del 2005, quando la tentata scalata di Unipol alla Banca nazionale del lavoro passò nell’arco di poche settimane dalle rubriche specializzate dei giornali economici alle prime pagine di tutti i principali quotidiani nazionali.
Giovanni Consorte, che di Unipol era presidente e amministratore delegato, venne presentato come il protagonista di un disegno politico-finanziario che mirava a sovvertire gli equilibri della finanza e minacciava la libertà di stampa e la stessa democrazia. Tutto d’un tratto l’opa di Unipol su Bnl, la scalata di Stefano Ricucci e dei “furbetti del quartierino” al Corriere della Sera e quella di Gianpiero Fiorani ad Antonveneta diventarono parte della stessa operazione. Un piano, secondo stampa e televisioni, al servizio di oscuri interessi politici ed economici, in una trama che – sotto l’attenta e spregiudicatissima regia dell’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio – andava dai vertici degli allora Democratici di sinistra a Silvio Berlusconi e che qualche maligno ribattezzò prontamente la «bicamerale della finanza».
Cosa c’era di vero in tutto questo racconto offerto dai mass-media? Nulla. Nel corso degli ultimi anni la giustizia italiana ha smontato pezzo dopo pezzo la teoria del disegno criminoso: Unipol non ha partecipato né alla scalata tentata da Fiorani su Antonveneta né a quella di Ricucci su Rcs. Non c’è stato nessun inciucio e nessuna trama segreta. E non c’è stata nessuna regia occulta da parte di via Nazionale. La spettacolarizzazione della vicenda Unipol-Bnl è stata nient’altro che una operazione politicamente ostile, una spietata manovra attraverso cui il salotto buono del capitalismo italiano ha cercato di difendere la propria sfera di influenza dall’assalto di un competitore esterno. Lo ha fatto sfruttando tutti i mezzi che aveva a disposizione, senza disdegnare la diffusione di intercettazioni illegali o comunque illegalmente pubblicate per accreditare la propria ricostruzione dei fatti e screditare nemici politici, avversari economici, arbitri e controllori.
Dal cortocircuito mediatico-giudiziario e dalla condanna preventiva emessa dai giornali e dalle televisioni non si è salvato nessuno. Non Consorte, costretto a lasciare la guida di Unipol e a subire un processo lungo più di un lustro. Non Fazio, che dovette abbandonare la Banca d’Italia senza che nessuna voce si levasse in sua difesa. Non i pochissimi esponenti politici che ebbero il coraggio di difendere la legittimità di quella operazione industriale e che pagarono per questo un prezzo altissimo in termini personali e politici. Soprattutto non l’Italia, che ha perso il controllo di una storica e importante banca nazionale a vantaggio degli agguerriti francesi e oggi si trova a fronteggiare una gravissima crisi del credito che colpisce con particolare durezza le famiglie e le imprese senza poter incidere sulle scelte di portafoglio di questa istituzione finanziaria. La sentenza di assoluzione emessa dalla magistratura milanese non laverà l’onta subìta dai protagonisti di questa vicenda. E non riparerà nemmeno i danni economici all’intera comunità nazionale.
Per noi, che sin dall’inizio ci siamo seduti dalla parte del torto, sarebbe forte la tentazione di chiedere conto delle loro parole a coloro – finanzieri, giornalisti, politici – che presero parte a quella lunghissima campagna, che non disdegnò i toni e gli strumenti di un autentico linciaggio. Abbiamo ancora nelle orecchie tante prediche ipocrite sulla “questione morale” o sulla separazione fra economia e politica, simili alle proteste del lupo che accusava l’agnello di intorbidargli l’acqua del ruscello. Sono gli eterni ritornelli dei soliti furbi travestiti da ingenui, intramontabili litanie che sono servite soltanto a tenere bloccato il nostro paese per vent’anni. Ma i guasti provocati da questi eterni farisei del nuovo sono ormai sotto gli occhi di tutti.