Ve lo do io l’impeachment

Cara Left Wing,
devo constatare che continua la stupidissima adozione giornalistica di termini inglesi per designare concetti e istituti che nel diritto costituzionale italiano non esistono, allo scopo di fuorviare i lettori e di indurli a falsi paragoni con vicende possibili soltanto in altri Stati ovvero all’esistenza di situazioni giuridicamente non suscettibili di essere configurate nell’ordinamento italiano.

Dopo aver sostituito la locuzione “Presidente del Consiglio dei Ministri” con quella di “Premier” (che ha un significato totalmente diverso) per far credere ai lettori che, nelle elezioni, deve esservi un “candidato premier”, espressione priva di qualsiasi senso giuridico nella Costituzione vigente (anche per chi volesse considerare la parola inglese come equivalente a quella italiana); e dopo aver sostituito la locuzione “Presidente della Giunta Regionale” con quella di “Governatore” (che dovrebbe tradurre la carica del capo di uno degli Stati federati, ma che è invece derivata dal periodo anteriore al patto di federazione, quando il “Governatore” era nominato dal Re dello Stato colonizzatore e alimentava la giusta avversione di eroi popolari, tra cui un certo Zorro), per far credere ai lettori sprovveduti che la Repubblica italiana sia diventata “federale”, mentre è giuridicamente ancora “una e indivisibile”, come mi auguro che resti (dovendosi semmai prendere in seria considerazione la scelta di abolire anche le regioni), adesso apprendiamo perfino che qualcuno ha chiesto “l’impeachment” di Napolitano. In proposito vorrei chiarire ai lettori quanto segue.

Il Presidente della Repubblica può essere incriminato solo (art. 90 Cost.) del reato di “Alto tradimento” – che sembra fuori discussione, visto che nessuno ha ipotizzato intelligenze con uno Stato nemico o rivelazioni di segreti di Stato – e di “Attentato alla Costituzione”, che è il reato invece specificamente menzionato da Grillo e da alcuni giornalisti. Senonché, da quello che leggo, nessuno sa esattamente di cosa stia parlando. Infatti, il reato di “Attentato alla Costituzione”, fino all’emanazione della legge 24 febbraio 2006 n. 85, consisteva nel commettere “un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato o la forma del Governo con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato” (art. 283 del codice penale) e, sulla base di tale formulazione era stato contestato a molti aderenti alla Lega Nord, in relazione a fatti specifici commessi in vari territori del Veneto e della Lombardia.

Allora, con la legge predetta – fortemente voluta dal governo di allora e dalla sua componente leghista in particolare – fu modificata la fattispecie illecita tramutando la locuzione “fatti diretti a…” con quella di “fatti violenti diretti ed idonei a….”: e così oggi la norma è ancora vigente. Tutti i leghisti incriminati videro cadere l’imputazione perché il fatto non era più previsto come reato, mancando il nuovo requisito della “violenza”. Dunque, a meno che non si voglia ipotizzare che Napolitano abbia usato “violenza” per estorcere le dimissioni a Berlusconi (che fu accompagnato al Colle da folle festanti al grido di “buffone”, ben prima che fossero formalmente rassegnate, come qualsiasi giornale del tempo può confermare) la messa in stato di accusa di Napolitano è una sciocchezza bella e buona, nel testo oggi vigente e modificato da Calderoli e suoi accoliti.

Se il testo fosse stato quello originario, d’altronde, i signori Grillo e Casaleggio dovrebbero già essere stati da tempo incriminati loro di quel reato: infatti non hanno fatto mai mistero di voler tramutare la nostra democrazia parlamentare in democrazia diretta, non passando dall’art. 138 della Costituzione, ma semplicemente sottoponendo di fatto ogni voto dei parlamentari a decisioni di leader esterni alla Camera e al Senato ovvero a decisoni della “rete”, in violazione palese dell’art. 67 della nostra Costituzione che vieta ogni forma di “mandato imperativo”.