Discutere seriamente della tutela di Pompei è sempre più difficile. Il problema non si risolve invocando l’eccezionalità del sito e affidandosi a procedure straordinarie che consentano di derogare le norme. È questa la strada che negli anni più recenti scelse di seguire il ministro Bondi, affidando la gestione di Pompei alla protezione civile. Il risultato fu una gestione poco trasparente delle risorse, il loro utilizzo per finalità diverse dalla tutela e la conseguente rottura del fragile equilibrio tra conservazione e fruizione del sito. Un fallimento che dovrebbe portare a riflettere su come l’aver fatto pendere il piatto della bilancia più dalla parte della valorizzazione abbia finito per rendere quest’ultima più difficile a causa del progressivo deteriorarsi del sito.
Non meno inefficaci della gestione in deroga – sebbene sicuramente meno dannosi – si sono rivelati i tanti più o meno barocchi progetti speciali per Pompei, utili più a tranquillizzare l’opinione pubblica che a risolvere il problema. Né aiutano sparate come quella del presidente del Consiglio sul coinvolgimento dei privati nella tutela. Non c’è – a differenza di quanto sostiene Renzi – un’obiezione ideologica al coinvolgimento dei privati. Un bene pubblico può benissimo essere affidato a un privato – anche per la funzione di tutela – a condizione però che lo stato sia in grado di definire criteri e standard di tutela. E che venga dotato di reali poteri di vigilanza e surroga in caso quel privato non si rivelasse all’altezza. Oggi il ministero dei Beni culturali è in grado di fare tutto ciò? Evidentemente no, prima di tutto a causa del progressivo svuotamento di funzioni tecniche a cui è stato condannato da anni di tagli e mala gestione. Quindi, prima di discutere la possibilità di attribuire funzioni di tutela ai privati, dovremmo impegnarci a rimettere in sesto il ministero.
Fatte queste premesse, è altrettanto evidente che non possiamo accettare un giorno di più che il nostro paese non sia in grado di tutelare nemmeno Pompei. Dov’è il principale intoppo? Nella mancanza di fondi? In parte sicuramente è così, ma non può essere solo questo il problema e lo dimostra la difficoltà a spendere le risorse che ci sono. È colpa dei soprintendenti? A Pompei come in ogni parte d’Italia ci sono stati soprintendenti buoni e soprintendenti cattivi, ma la difficoltà si è sempre ripresentata. Certo la mancanza di profili amministrativi persino nei poli periferici principali del ministero aggrava la situazione, ma la radice del problema è nelle norme che regolano gli appalti. Il codice degli appalti pubblici – che recepisce direttive europee piuttosto stingenti – obbliga a tempi lunghissimi.
Roberto Cecchi, ex segretario generale del ministero, era solito ripetere sconsolato che per portare a compimento un appalto ci volevano 18 mesi, il tempo in cui si fanno due figli. È qui che dobbiamo intervenire. Ai tanti richiami e rimbrotti che in queste ore giungono dalla Commissione europea, il ministro Franceschini dovrebbe rispondere chiedendo l’autorizzazione all’Italia a scrivere un codice degli appalti specifico per i beni culturali. Lo avessimo fatto quando il Pd lo chiese all’allora ministro Bondi e al suo successore Galan, oggi avremmo delle norme efficaci a gestire un patrimonio enorme e diffuso come il nostro. Perché in Italia non c’è solo Pompei, ma un tessuto fitto e articolato di testimonianze storiche e archeologiche che sono in condizioni assai più drammatiche di Pompei. E che avrebbero bisogno di un intervento straordinario di messa in sicurezza preliminare a qualunque intervento di valorizzazione. Il presidente del Consiglio ha annunciato interventi importanti per il rilancio della crescita e dell’occupazione. È possibile immaginare che una parte delle risorse impegnate vengano destinate a un obiettivo del genere, che avrebbe anche l’effetto di rilanciare occupazione di qualità in un settore d’eccellenza del paese? E che – contestualmente – si possa ricominciare ad accompagnare restauro e manutenzione, così da evitare di dover sempre correre dietro a emergenze continue, come criceti nella ruota?