I dati sulle conseguenze climatiche del riscaldamento globale emersi nel quinto rapporto IPCC – Forum scientifico dell’Onu sul cambiamento climatico – sono assai allarmanti. Preoccupa, ovviamente, l’aumento medio di 0,6 gradi delle temperature e la prospettiva di ulteriori aumenti che secondo le previsioni potrebbero arrivare fino a 4,5 gradi entro la fine del secolo, ma soprattutto la consapevolezza che le scelte politiche, che si inizieranno a mettere in campo da subito, daranno i loro risultati solo tra molti anni. Siamo, infatti, di fronte a un processo di cambiamento climatico che ha portato a conseguenze irreversibili.
Questo rapporto arriva, peraltro, alla vigilia dell’avvio del semestre italiano di presidenza europea fornendo così al nostro paese una straordinaria occasione, ma anche una grandissima responsabilità. L’Italia deve mettere tutto il proprio impegno politico perché l’Europa si attivi su due fronti: da una parte agire per rallentare l’innalzamento delle temperature globali, dall’altra prepararsi ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici già in atto. A mo’ di esempio, nelle iniziative concrete che si possono intraprendere in sede Ue, vale la pena ricordare lo sforzo che il precedente governo aveva messo in campo con il ministro dell’Ambiente, per arrivare all’approvazione del regolamento Ue per la riduzione delle emissioni di CO2 delle auto. Su questo si è raggiunto, in questi giorni, un sostanziale compromesso dopo numerosi rinvii, ma l’equilibrio raggiunto avrebbe potuto essere ulteriormente migliorato in favore delle politiche ambientali.
Per ottenere questi risultati serve, dunque, un cambio di passo a livello culturale: per troppo tempo i mondi economici e produttivi hanno percepito l’impegno per la tutela dell’ambiente e la difesa del territorio come un mero elemento di conservazione, quasi come un ostacolo allo sviluppo economico. Eppure gli impatti del cambiamento climatico sull’economia, seppur difficili da quantificare, sono assai rilevanti. Mettere risorse nell’ambiente oggi significa evitare enormi sforzi finanziari domani, quando l’aggravarsi delle condizioni ambientali produrrà danni così ingenti da richiedere spese insostenibili per qualsiasi nazione.
Il secondo aspetto da affrontare è quello relativo alle conseguenze dei cambiamenti climatici irreversibili. Questo riguarda soprattutto l’Italia, che è il paese europeo più colpito dai fenomeni del dissesto idrogeologico, dove gli eventi eccezionali sono cresciuti negli ultimi anni in maniera esponenziale riproponendo all’attenzione dell’opinione pubblica e dei media il tema dell’impatto dei cambiamenti climatici. Occorre recuperare la capacità di programmare a lungo termine, a partire dall’utilizzo dei fondi comunitari, sapendo che gli investimenti necessari a fronteggiare i cambiamenti climatici comportano costi inferiori a quelli in riparazione degli eventi catastrofici. A questo scopo il ministero dell’Ambiente nei mesi scorsi ha presentato un documento strategico nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici in cui individua le linee guida di intervento e le azioni prioritarie da compiere per preparare l’Italia al clima che cambia e su cui proprio in questi giorni si stanno raccogliendo le osservazioni dei cittadini.
L’obiettivo è quello di arrivare a ridurre gli effetti che il riscaldamento globale potrà avere sulla natura, sulle città, sull’economia e sulla salute dei cittadini. Riduzione delle emissioni gas serra e misure per prevenire gli effetti dei cambiamenti climatici come il dissesto idrogeologico devono essere, dunque, le priorità del ministero dell’Ambiente e di tutta l’azione del governo. Rallentare i cambiamenti climatici e fronteggiare gli effetti che producono sono la vera sfida dell’oggi, su cui saremo chiamati a rispondere nei prossimi anni.
__
Silvia Velo è sottosegretario all’Ambiente e alla tutela del territorio e del mare