Cara Left Wing,
stamattina sono andato in un negozio, uno di quelli che rimettono in circolo i cambi merce dei contratti pubblicitari: maglieria, profumi, torrone, piumini, lozioni, orologi, tutto al 50 per cento. Per comprare, e quindi godere degli sconti, devi avere la tessera. Compili un foglio, scrivi il tuo nome e cognome, il tuo indirizzo email, ricevi quel rettangolino di plastica patinata e il gioco è fatto. Dal giorno dopo iniziano ad arrivare i messaggi: ciao come stai, questa settimana ci sono i jeans slim fit che ti aspettano, ma affrettati che vanno via come il pane. A queste cose dedico un po’ di attenzione supplementare perché le faccio per lavoro: si chiamano programmi fedeltà, o loyalty programs nella neolingua che molti di noi si sono abituati a parlare dalle nove del mattino alle otto di sera. Studi le abitudini dei consumatori, i loro dati sociodemografici, gli scontrini medi, le stagionalità di vendita, i prodotti preferiti, le connessioni con dimensione e tipologia dei nuclei familiari, recency-frequency-money, lifetime value, consigli i metodi di acquisizione di nuovi membri del programma, gli incentivi, i livelli crescenti della piramide dei clienti, gli acceleratori, gli instant rewards, le coalition. Studi, analizzi, valuti un sacco di roba insomma. E poi se le cose vanno come devono andare, inizia il grande gioco che gira intorno a quel rettangolo di plastica patinata, la card, anzi: la tessera.
Avevo appena firmato il foglio con il quale chiedevo di essere ammesso all’ennesimo club degli eletti quando ho alzato gli occhi e invece della dolce e gentile Francesca che mi aveva assistito spiegandomi i vantaggi dei quali avrei goduto già nell’immediato futuro mi sono visto, in un’allucinazione stile 1984, il sorridente faccione del segretario del Partito democratico, quello eletto a furor di popolo nel nome del partito liquido e che un paio di giorni fa si è dato una pacca sulla fronte e ha detto: “Oh raga, secondo me qui dobbiamo far tornare ‘sto partito una roba per iscritti che abbiano la tessera in tasca”. Accolto dal vuoto pneumatico del sì capo, certo capo. Nell’allucinazione il segretario mi offriva la tessera, mi diceva iscriviti all’albo se vuoi che la tua voce conti e non ti preoccupare delle primarie, ma ti pare, i giochi belli sono quelli che durano poco. Nell’allucinazione chiedevo al segretario se parlava sul serio, e alla sua risposta positiva facevo una seconda domanda, che poi è quella che si fanno tutti al momento di compilare la richiesta di ammissione al club degli eletti: ma io, cosa ci guadagno?
A quel punto, in una nebbia da ghiaccio secco su un palco di periferia, il volto del segretario si è fatto confuso, e poi è scomparso del tutto. Mi sono strofinato gli occhi, e di fronte avevo di nuovo Francesca che mi allungava la mia tessera, nuova e scintillante. Ho ringraziato e sono uscito. Sono andato a riprendere la macchina, parcheggiata a pochi passi da uno dei molti superstore Esselunga che per noi milanesi fanno parte del panorama urbano come la Madonnina e i tavolini per gli aperitivi lungo il Naviglio Grande, ed è lì che ho capito da chi dovrebbe andare a lezione il segretario: da Bernardo Caprotti, quello dell’Esselunga, quello di Falce & Carrello, quello dei punti fragola e delle confezioni per single, del pane fresco e del catalogo premi alto come la Treccani. Uno che i dipendenti magari no, e i figli nemmeno, ma i clienti sa come si trattano, eccome. Oh, poi, cara Left Wing, non so come la pensi tu al riguardo. Io credo che il Caprotti sarebbe un buon maestro per il segretario (e quelli che gli stanno sotto, e intorno); perché penso che gli direbbe: “Ragazzo, sai perché la mia tessera ha successo? Perché si chiama Fidaty, e la gente, di me e dei miei, si fida. Tu poi dire altrettanto?”.
Caro Pilu, dovessimo cercare un buon insegnante per noi o i nostri figli, ci ricorderemo di non chiedere consiglio a lei. Ma per rispondere subito alla sua domanda di poche righe più su: lei ci guadagna un partito. Le pare poco?