Nel mese di marzo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha pubblicato un rapporto in cui si rileva come, nello scorso anno, si sia registrato il livello più alto di richieste di asilo e protezione internazionale degli ultimi ventidue anni. Si stima che nel 2014 siano state presentate 866mila nuove domande di asilo nei paesi industrializzati, con un aumento del 45% rispetto al 2013. È il dato più alto dal 1992, quando iniziò la guerra in Bosnia e Erzegovina. Le ragioni? Le guerre in Siria e in Iraq, i conflitti armati, le violazioni di diritti umani, “il deterioramento delle condizioni di sicurezza e umanitarie nei diversi paesi del mondo”. L’Italia è il quinto paese al mondo per il numero di richieste di asilo esaminate, in una classifica che vede al primo posto la Germania e al quarto posto la Svezia, per parlare di paesi europei.
L’Europa si è trovata davanti a un muro di morti nel Mediterraneo, un’emergenza umanitaria che l’ha costretta ad affrontare la questione politicamente meno remunerativa che esista: la migrazione verso il continente per stabilirsi nei paesi dell’Unione. La discussione di queste settimane è però un rito di rimozione collettiva, un rifiuto dell’unica presa di coscienza possibile: non esiste un’azione efficace per interrompere flussi migratori di questa portata. Non esiste secondo i canoni di una civiltà occidentale rispettosa del diritto internazionale, dei diritti umani e civili dei soggetti coinvolti. Le migrazioni possono essere gestite, regolate, ma in nessun caso possono essere fermate. Come non esiste soluzione politica che possa impedire a un uomo di respirare, se non quella che conduce alla sua soppressione, allo stesso modo non esiste una soluzione politica che possa impedire la fuga dalla povertà e dalla guerra.
“È un’astrazione da buonisti”, dicono i cattivi. E invece è il nodo della questione: non puoi darti un obiettivo politico concreto se non riconosci la ragione del fenomeno. “Fermiamo i flussi migratori”, dicono a destra. L’opzione consiste nell’immediata cessazione di tutti i conflitti africani e del conflitto siriano, nella riduzione di almeno il 70% della malnutrizione in Africa, nonché in un aumento significativo del prodotto interno lordo in gran parte dei paesi poveri, e nell’immediato riconoscimento universale di diritti umani e civili. Mandiamo in missione Matteo Salvini e vediamo cosa porta a casa.
“Affondiamo i barconi”, dicono in moltissimi, sintetizzando così una volontà di combattere il traffico illegale di esseri umani. Ma le migrazioni sono come l’acqua, spinte dalla pressione verso i paesi europei troveranno comunque una via di fuga. E barche, aerei, gommoni, elefanti su cui attraversare le Alpi. L’opzione “affondare i barconi” comporta poi tutta una serie di domande: affondarli, sì, ma esattamente dove? Dentro i porti libici? Nei rimessaggi? In fase di alaggio? E come li distinguiamo dai pescherecci? In Libia al momento non sembrano così disponibili ad autorizzare missioni militari nelle proprie acque territoriali, e l’ambasciatore russo all’Onu ha già chiesto di non creare le condizioni per una nuova guerra nel Mediterraneo.
La soluzione politicamente più impopolare è anche l’unica soluzione ragionevole: prendere atto davanti all’opinione pubblica dell’irreversibilità del fenomeno, riconoscendo i diritti di queste persone, evitando nuove stragi in mare, sviluppando un sistema coordinato di valutazione delle richieste di protezione internazionale, di asilo, di soggiorno. E si tratta di farlo dicendo, una volte per tutte, che non esiste alcuna minaccia al nostro benessere e alla civiltà occidentale. Se l’emergenza umanitaria è un dato di fatto, la paura dell’invasione del nostro paese è una percezione distorta della realtà, questo dicono i dati: l’Italia accoglie un rifugiato (1) ogni mille persone, ben al di sotto della Svezia, con più di 11 rifugiati ogni mille, e la Francia, 3,5 ogni mille. Svezia, Germania e Francia, da sole, accolgono il 75% dei rifugiati nell’Ue.
Cosa accadrebbe se nei talk show politici – che rivendicano un ruolo pedagogico dell’opinione pubblica – vedessimo ogni sera, per un anno, storie di integrazione comune, il riconoscimento della quantità di lavoro e tasse che “gli immigrati” rappresentano, invece dell’imprenditore del nord-est che li vorrebbe prendere a schioppettate?
La proposta di agenda Ue sull’immigrazione andrà verificata nella sua versione definitiva, e la ripartizione in quote dei rifugiati va gestita con cautela, ricordando che i migranti devono essere spostati, non deportati, e che anche in quel movimento devono essere rispettati i loro diritti. L’impressione è che si cerchi l’effettaccio dell’azione militare per coprire un accordo europeo che sarà necessariamente un compromesso al ribasso (sedersi a un tavolo con Viktor Orban per parlare di migrazioni non dev’essere cosa facile). È apprezzabile, però, sentire Mogherini dire che “non un solo rifugiato o migrante intercettato in mare sarà respinto contro la sua volontà”. In ogni caso l’Italia dovrà rivedere la legislazione sull’immigrazione e abbandonare il paradigma del trattenimento forzoso nel Centri di identificazione ed espulsione, un fallimento da ogni punto di vista e una quotidiana violazione dei diritti più elementari.
E noi, paralizzati da questa morsa di populismo e intolleranza, come ci liberiamo? Interrompere Mare Nostrum è stato, dal punto di vista umanitario, un errore clamoroso; il passaggio successivo è ammettere che Triton si è rivelata un’operazione, dal punto di vista umanitario, fallimentare. L’ultimo passaggio, quello decisivo, e su cui l’Unione europea sembra essersi improvvisamente risvegliata, è richiamare il resto dei paesi europei alle proprie responsabilità e imporre una politica comune di condivisione: siamo un confine mediterraneo, e i dati dimostrano che chi mette piede a Lampedusa intende mettere piede in Europa, non necessariamente restando in Italia. E questa pretesa deve essere fatta valere chiarendo un punto, solo apparentemente secondario: non siamo impegnati in un’opera caritatevole.
“Accogliere queste persone nei paesi europei non è un dono, o un aiuto, ma è la realizzazione di diritti dell’uomo”, ha detto il primo ministro austriaco Faymann, che sostiene il sistema di quote e una ripartizione equilibrata e proporzionale dei migranti tra i paesi dell’Unione europea. Non è un atto di solidarietà, che tradisce un’etica della reciprocità squilibrata, per cui i diritti sono dalla nostra parte mentre chi sbarca ha solo concessioni e doveri, ma è il rispetto di un diritto umano che viene rivendicato ogni volta che un uomo, una donna, un bambino salgono su un barcone. E io non voglio un ministro – un governo – che esprime soddisfazione per l’abbattimento dei costi per operazioni di salvataggio in mare. Vorrei un ministro – un governo – che rivendicasse l’importanza di un’operazione come Mare Nostrum nell’affermazione del progetto politico europeo, perché è posta a salvaguardia di vite umane e di diritti fondamentali, il cui rispetto riguarda tutti i paesi europei.