Ieri non sono riuscita a scendere a Roma per la direzione nazionale, in questi giorni avevo alcuni incontri con gli iscritti a Modena, però come molti l’ho seguita on line sul sito dell’Unità. E questo, almeno a parer mio, è un problema. Cerco di spiegarmi meglio: la direzione, il confronto, sono momenti ovviamente importanti, però il dibattito interno del Pd avviene trasmettendolo in diretta streaming e quindi parlando all’esterno. A volte ho come la sensazione che ci siamo infilati in quello che alcuni chiamerebbero un cul de sac: gli iscritti ci chiedono di smetterla con le interviste e le polemiche sui giornali e noi, per smussare le polemiche, ne discutiamo in diretta. I nostri iscritti (a volte gli stessi che ci chiedono di smetterla con le polemiche), in compenso, si trovano a twittare o a commentare su facebook la discussione interna mentre la guardano in diretta. L’effetto è di una ridondanza a dir poco preoccupante.
Il paradosso si autoalimenta perché la discussione interna, pur fatta in streaming, resta una discussione interna. Ragion per cui, là fuori, tutti hanno buon gioco a sottolineare velenosamente il distacco di questa discussione interna da quel che succede all’esterno. Mi rendo conto di essere rimasta l’ultima giapponese a credere che forse sarebbe saggio tornare a direzioni e assemblee a porte chiuse, in modo da renderle più efficaci, sincere e utili. Mi rendo anche conto che se domani Matteo Renzi proponesse di fare una direzione a porte chiuse ci sarebbe la sollevazione dei media, della cosiddetta “pubblica opinione” e forse anche di un pezzo del partito. E forse succederebbe che qualcuno la trasmetterebbe comunque in diretta dal proprio telefono, o magari delizierebbe i suoi follower con un live twitting. Non è forse già successo, in occasioni anche più delicate?
Ci troviamo quindi in una situazione complicata, in cui ci siamo infilati da soli nel 2012, quando per rispondere alle accuse di mancanza di trasparenza che ci arrivavano da Beppe Grillo (non so se mi spiego), decidemmo di rincorrerlo trasformando le riunioni della direzione in un’altra cosa. Una sorta di palco da cui si poteva esporre al pubblico a casa la propria visione del partito e del mondo. Ora, vi sarete accorti anche voi che Grillo, nel frattempo, non si è messo a discutere la linea del suo partito in streaming. Ha fatto finta per un paio di volte, all’inizio. E poi, per insormontabili problemi tecnici, ha smesso. Anzi, è arrivato alla fase due: ora commenta in diretta dal suo blog la nostra direzione in streaming per segnalare come la nostra discussione sia lontana dai cittadini (quanto mi piacerebbe vederne una dei grilini, sentirli parlare di comparsate in tv, di polizze assicurative e di post su facebook, però loro le fanno a porte chiuse).
Che fare? Per cominciare dovremmo darci un tono, specie noi che abbiamo ruoli nazionali. Non è possibile che per ogni appello all’unità lanciato dal palco si facciano due dichiarazioni sibilline sulla scissione dieci minuti dopo alle agenzie. Non è possibile che ogni discussione o chiacchierata, in parlamento come nel partito, venga poi raccontata al proprio amico giornalista in transatlantico. Non è possibile lanciare appelli su facebook se poi non si è nemmeno in grado di rivolgersi la parola in aula. Allora io lo dico per noi: smettiamola, cerchiamo di comportarci da persone adulte, cerchiamo di fare in modo che le nostre discussioni siano finalizzate non a pubblicare il video su facebook, ma a trovare una soluzione ai problemi dell’Italia. Usiamo in modo intelligente questo streaming, se lo dobbiamo proprio fare. Ricordiamoci tutti i giorni di essere un partito che anche quando parla di sé non lo fa perché ama discutere di come cambiare lo statuto, ma per discutere di come cambiare la società italiana.