Francesco Cundari ritiene che la fase positiva di Renzi, culminata col 40%, peraltro alle europee, fosse legata all’aver tenuto insieme rottamazione e tradizione (la spinta della prima e buona parte del radicamento della seconda), fino alla piena adesione al Pse. In effetti, se non ricordiamo male, fu solo dopo quel 40%, che Renzi premier si inoltrò in terreni (lavoro e scuola) dove nella tradizione era fatale che inciampasse. È stato con quelle riforme che il blocco socialdemocratico ha cominciato a differenziarsi fra beneficiari e danneggiati dalle riforme strutturali che in effetti, dopo ultradecennali vade retro, venivano avviate.
Il problema è che se da un lato, diciamo quello sinistro segnato dal conservatorismo dei deboli, era ovvio che si perdessero pezzi, è del tutto mancato lo sfondamento a destra, dove a quanto pare ha tenuto duro il conservatorismo dei “forti”: professionisti, partite iva, per non parlare dei detentori di rendite fermentati in mezzo secolo di doroteismo governante. Perché l’elettorato di destra non è stato sedotto dalla politica del fare? Forse, supponiamo noi, perché quella di Renzi era comunque una politica “progressista”, contrariamente alla rappresentazione di continuismo bla-bla con Berlusconi che ne ha fatto Crozza. O, più banalmente, perché i due partiti di don Camillo e Peppone sono duri a morire a causa della nota inossidabilità dei pregiudizi. Sta di fatto che la risposta del referendum è stata perentoria: l’osmosi fra destra e sinistra non esiste sulla proposta. Al massimo si può avere una confluenza nella protesta/opposizione.
Dunque è la stessa opinione pubblica che offre scarsi spazi di manovra all’innovazione. Per di più il Pd è da tempo, nella percezione collettiva delle identità politiche, e ben prima di Renzi, “una bandiera senza progetto”. A lato della quale esiste il “renzismo”, come cosa a sé, non come “parte” del Pd. Quindi il Pd ad oggi non è altro che la proprietà di un marchio cui si accompagna un temporaneo, elevato potere di selezione di candidature alle cariche pubbliche, con o senza la foglia di fico delle primarie in stile 2012 (ci riferiamo a quelle dei candidati a deputato o senatore) che sono roba da traffichini della politica e non la spartiscono per nulla con la questione del legame fra eletti e popolo.
Siccome quel che è detto per il Pd vale per tutti gli altri partiti e movimenti, viene da pensare che la nascita di partiti “nuovi” possa derivare solo dalla riforma elettorale e non viceversa. E ha ragione Prodi a sostenere che i collegi uninominali costituiscono (costituirebbero) la condizione necessaria, e forse sufficiente, per far crescere, nel radicamento con gli elettori, una classe dirigente di qualcuno per qualcosa. Perché la politica o è consenso, rapporto con gli elettori/territori, o è semplice politicantismo e clientelismo. Da cos’altro, se non dal rapporto territoriale, e dunque trasversale e non corporativo, con gli elettori può nascere l’incontro fra un pensare colto e la realtà del mondo sociale? Certamente non dalle bande clientelari dei voti di preferenza, dagli squittii dei talk show o dagli strilli escogitati dai titolisti a base di «bufera su…», etc etc. A dirla in breve, per come la vediamo, la politica soffre come Anteo che si indeboliva se lo staccavano da terra. Allontanarsi dalla propria terra, l’elettorato, rende la politica cieca e perennemente debole. Quindi arrogante se pretende di decidere, complice e in fondo superflua se si accuccia in grembo ai luoghi comuni correnti.
Era diversa la situazione fino a qualche decina di anni fa, quando l’ideologia, condivisa da blocchi sociali usciti cementati dalle rivoluzioni industriali, conteneva il riflesso di una realtà (classi sociali, linee di antagonismo fra gli interessi). Mentre per il momento qualsiasi idea è sospetta di lumeggiare solo fantasmi. Ma le idee, pur periture, servono. E per metterne in funzione il cantiere, oltre che aderire quasi fisicamente alla realtà sociale, economica e culturale in cui sono immersi gli elettori, è necessario saperli “interrogare”. Girare per i bar è utilissimo, ma non basta. Degli elettori sarebbe necessario conoscere non solo le dichiarazioni esplicite, ma anche le concatenazioni motivazionali, e non una volta ogni tanto con le caduche perle a tassametro degli istituti di sondaggio, ma con strumenti tanto sistematici quanto capaci di interrogare gli animi, come si fa per meglio capire le sculture: con una luce “laterale”.
Sarà per questo che ci siamo particolarmente riconosciuti in questa opinione di David Colander e Roland Kupers, segnalata nel blog di Alberto Cottica, secondo i quali, non potendo contare su sistemi di senso pre-confezionati, per decidere la allocazione delle risorse (il nocciolo della attività della politica) occorre procedere «emergenzialmente» e insieme «metodicamente». Ma siccome l’emergenza rivela, manifesta le sue strutture solo mentre avviene, come si fa ad approcciarla e al limite prevenirla? «Afferrando gli scontri» (con la realtà), è la risposta, e cioè cercando di farsi forti dei trend che riusciamo a scorgere per trainarli anziché subirli. Esempio: tutti negli anni 80 hanno cominciato a uscire pazzi per il fitness? Era allora che i governi avrebbero potuto pensare a incentivare la tendenza per risparmiare, in prospettiva, sulle spese sanitarie.
Un gioco che richiede un set di abilità particolari e nuove, tra le quali, dicono Colander e Kupers: 1) Potenti e nuovi strumenti per scrutare l’orizzonte delle tendenze sociali, quando sono ancora in nuce. Tornando al nostro esempio: percepire la forza potenziale e le opportunità della spinta al fitness quando chi correva per strada pareva ancora un matto; 2) Fermezza e costanza nel supportare i trend individuati, sperando di averli indovinati. Il contrario dell’opportunismo banderuola.
Detto prosaicamente, sarebbe opportuno immaginare approcci e strumenti di sondaggio della società molto, moltissimo più significativi e continuativi rispetto all’armamentario di quelli, in larga parte presi a prestito dal marketing sviluppato per seguire i consumi di massa. E partendo dalla comprensione dei consumi culturali e di intrattenimento, che quanto a rivelazioni di trend non dovrebbero temere rivali. Tutto, pur di non restare a dirsi cose in un circolo di soi disant classe dirigente.