In questi giorni di candidature e prime discussioni congressuali nel Partito democratico mi sono presa qualche giorno per riflettere e per decidere cosa fare. Un congresso che comincia con una scissione impone uno sforzo per cercare di capire cosa sia accaduto e come riaprire un dibattito più utile e più interessante non solo per noi, ma possibilmente anche per l’Italia. Il risultato del 4 dicembre è stato una sconfitta per tutto il Pd, e come temevamo ha sancito la morte di un sistema e la nascita di un altro, anche se non sappiamo ancora bene quale. Sappiamo solo che attorno a noi, nel mondo, dalle Filippine agli Stati Uniti, e in Europa, dalla Francia all’Ungheria, e purtroppo anche in Italia, sta montando un’onda populista – a tratti fascista – che prende nomi diversi ma che ha l’obiettivo unificante di tornare ai confini nazionali presidiati da soldati, alla chiusura delle menti e delle frontiere, alla fine della libera circolazione delle merci e delle persone. Con molte prevedibili eccezioni per le merci e soprattutto per i capitali, e pochissime per le persone. E sappiamo anche che in questi anni l’unico partito europeo di centrosinistra che con tutti i suoi limiti sia riuscito ad arginare questa ondata è stato il Pd guidato da Matteo Renzi.
Lo dico perché ho rispetto di tutti i candidati alla guida del partito, ma non posso dimenticare che da tre anni io e tanti altri compagni abbiamo condiviso la linea politica tanto del governo quanto della segreteria Renzi, provando e talvolta anche riuscendo a cambiare il segno delle scelte che non ci convincevano, sempre discutendone nelle sedi proprie. Da parte mia sarebbe incoerente e incomprensibile rimuovere tutto questo e fare oggi finta di niente, dire anch’io che in questi anni si è sbagliato tutto e pretendere di ripartire da zero, come se io non fossi stata presente. Ho deciso quindi di sostenere la candidatura di Matteo Renzi, sapendo che su alcune cose è necessario raddrizzare la rotta ed è più che mai necessario che ognuno di noi dia una mano.
Il primo punto su cui dobbiamo tornare a lavorare sul serio è il partito. Se è vero che siamo entrati nel Pse è altrettanto vero che nei territori c’è un’enorme sofferenza e spesso una sensazione di abbandono difficile da ignorare. Un anno fa a Modena abbiamo riunito le buone pratiche del Pd in giro per l’Italia: da Bella Ciao Milano alla Factory 365 dei Giovani democratici. Da quell’incontro è nato un documento che potrebbe essere la base per la discussione su come ricostruire il partito. Perché, se è vero che non è più sostenibile il vecchio modello, è anche vero che non si può semplicemente bypassare il territorio. Per non parlare della formazione: abbiamo la più grande organizzazione giovanile europea, radicata e piena di militanti, il dovere del partito è quello di mettere a valore quelle migliaia di ragazzi e ragazze non solo come volontari, ma come collegamento diretto che abbiamo con un pezzo di paese che non guarda più a noi da anni. Invece di limitarci a parlare di giovani, ascoltiamoli. E organizziamo una formazione che non sia fatta solo di costose assemblee per un titolo sui tg, ma di percorsi formativi.
Soprattutto, però, c’è un’enorme battaglia da fare sui diritti. Siamo stati quelli che dopo vent’anni di discussioni sono riusciti a portare a casa le unioni civili con il voto di fiducia, mantenendo sempre un dialogo con le associazioni, ma il lavoro da fare è ancora immenso. Se penso ai diritti fondamentali non posso dimenticare lo Ius Soli, fermo da mesi in Senato, senza che nessuno se ne occupi. Esattamente come è fermo il reato di tortura. E come possiamo poi pretendere dall’Egitto la verità per Giulio Regeni, se il nostro parlamento non riesce ad approvare una legge che dopo il G8 del 2001 si era resa estremamente urgente anche nel nostro paese? E che dire della Fini-Giovanardi? Ci siamo limitati a depenalizzare l’utilizzo della cannabis, senza superare l’impostazione profondamente sbagliata e dannosa di quella legge. Dobbiamo non solo legalizzare la cannabis, ma modificare profondamente le politiche di prevenzione e cura delle dipendenze. Alla Camera abbiamo lavorato per mesi sul testamento biologico, ora sta per arrivare in aula, ma è destinato a finire nel porto delle nebbie se il Partito democratico non assumerà la sua approvazione come impegno fondamentale entro la fine della legislatura.
È stato con la segreteria Renzi che questi temi sono stati affrontati e portati all’ordine del giorno di tutto il partito e non solo di una sua parte. Guai però se la giusta battaglia sui diritti civili venisse intesa come un modo per surrogare o dimenticare la battaglia per i diritti sociali, dove abbiamo invece molta strada da recuperare. L’abuso dei voucher o gli stipendi da 800 euro al mese per i ricercatori delle università, per fare solo due esempi, sono questioni su cui dobbiamo dare risposte. Questo congresso, insomma, non deve essere una conta, ma l’occasione per tutto il Partito democratico di fare un passo in avanti. Se riusciremo a cogliere questa occasione, se Matteo Renzi riuscirà a coglierla, avremo non solo un segretario, ma un partito più forte. Vale a dire uno strumento più efficace per rendere l’Italia un paese migliore, che poi è l’unica cosa che conta davvero.