Il vittimismo pavloviano sulla libertà d’informazione è un rumore di fondo, si leva ogni volta che qualcuno fa notare come ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui vengono raccontate le indagini su alcuni giornali. Non ci si può permettere di usare espressioni come «violazione del segreto istruttorio», «indagini, non processo», «presunzione di innocenza», «indagini, non prove», «rispetto della dignità delle persone» senza venire immediatamente presi a pesci in faccia dagli eroi dell’informazione libera, e arruolati nell’esercito degli insabbiatori e dei fiancheggiatori, come se il valore in gioco fosse uno, e uno soltanto.
La notizia, per chi si occupa di cronaca giudiziaria, è sempre la fase cruenta di un’indagine: la sua apertura, le perquisizioni, le misure cautelari. Il problema è che, in questa fase cruenta, si raccontano le indagini al passato prossimo o all’imperfetto, e non al condizionale. «Pagava», «ha corrotto», «otteneva», «ha costretto», dimenticando di spiegare che tutto quello che fa parte delle indagini preliminari dovrà passare da un processo, prima di diventare un prova. In questa fase si dimenticano il codice di procedura penale, i codici deontologici, i diritti costituzionali, e si raccontano i fatti come certamente avvenuti, commessi da quei soggetti di cui si pubblicano nomi e cognomi e indirizzi di casa (quando va bene), creando un effetto perverso per cui un assolto è sempre un colpevole che l’ha fatta franca. Sui giornali – lo vediamo – finisce di tutto, spesso in violazione di norme che puniscono la pubblicazione degli atti coperti dal segreto e che vengono sostanzialmente disapplicate.
La questione del racconto delle indagini e dei processi da parte dei mezzi d’informazione è centrale in tutte le democrazie, e anche in Europa è al centro di un costante dibattito tra chi vorrebbe una libertà di stampa senza limiti e chi invece ritiene necessario il rispetto degli altri diritti in gioco. A differenza degli Stati Uniti, dove il diritto di cronaca non ha praticamente limiti, ma i processi di selezione delle giurie sono eccezionalmente rigidi, in Europa la libertà di espressione è sempre bilanciata con il diritto alla presunzione d’innocenza, la dignità personale e il diritto a un processo giusto.
Nel Regno Unito esistono una serie di limitazioni legislative al diritto di cronaca giudiziaria, tanto che sul sito della BBC si possono trovare guidelines che raccomandano quello che si può e non si può scrivere: in caso di indagini è vietato pubblicare «ogni informazione che potrebbe pregiudicare un successivo processo», e si chiede di evitare riferimenti «a ogni prova del caso e a condanne precedenti» (si rischia di violare il Contempt of the Court Act del 1981, che prevede restrizioni alle pubblicazioni che possono pregiudicare il corso della giustizia). La legge prevede addirittura la possibilità che la corte ritardi la pubblicazione di cronache nel corso del processo, se si teme che possano condizionare la serenità della giuria.
In Germania esistono limitazioni a ciò che può essere raccontato nel corso delle indagini preliminari e dei processi, il diritto di cronaca è limitato dagli altri diritti costituzionali: il diritto all’anonimato, al giusto processo alla presunzione di innocenza.
In Austria vige un Media Act che punisce chiunque commenti sui media il possibile esito di un procedimento o il valore di una prova, in modo che possa influenzare il risultato del processo (Sezione 23, «Divieto di influenza sui procedimenti penali»), mentre in Francia l’articolo 434-16 del Codice Penale proibisce la pubblicazione, prima della sentenza, di commenti tesi a esercitare pressioni sulle testimonianze o sulle decisioni degli investigatori o della Corte. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – un pericoloso baluardo contro la libertà di informazione – ha stabilito che ogni cittadino ha il diritto di non essere presentato come colpevole prima di una sentenza di condanna, e che spetta agli stati membri proteggere in modo efficace questo diritto.
La verità è che lo statuto del diritto di cronaca in Italia è uno dei più liberi d’Europa. Ogni volta che si apre un dibattito sulla pubblicazione di atti e documenti di indagine, informative, intercettazioni telefoniche, la semplice nota che ci sono in gioco diritti di pari grado, che devono essere tutelati allo stesso modo, viene rovesciata in una difesa della politica corrotta e in un’aggressione alla libertà di informazione. Nessuno pretende che l’Italia si adegui agli standard degli altri paesi europei, nessuno vuole introdurre bavagli, fascismi, repressione o settantottesimi posti nelle classifiche sulla libertà di stampa, ma si potrebbe cominciare con un’assunzione piena di responsabilità da parte di chi tratta questo materiale.
Nessuno, o quasi, oggi si sognerebbe di fare un titolo che contiene la parola «negro», perché abbiamo raggiunto una consapevolezza condivisa della connotazione razzista e discriminatoria di quella parola; non si ha invece nessun problema a pubblicare un titolo in cui si danno per provate condotte che non lo sono ancora, e cronache che raccontano di colpevoli già scoperti, violando un principio – quello della presunzione di innocenza – che ha lo stesso valore costituzionale del principio di non discriminazione. Ma non c’è verso che sia altrimenti: girano per l’Italia copie della Costituzione a cui mancano interi articoli.
Le conseguenze di questa incultura giuridica, e di un racconto parziale offerto a un’opinione pubblica incattivita e rancorosa, sono una pena irreversibile anche per l’irresponsabilità di chi ne scrive, che spesso è molto attento alla propria libertà di espressione ma disinteressato ai propri doveri, e ai diritti degli altri. La presunzione di innocenza è un principio costituzionale, così come la libertà di espressione e di informazione, un cardine di quella Costituzione difesa con veemenza militare da molti che invece, quando si tratta di indagini preliminari e di processi, la violano sistematicamente. La prossima volta che qualcuno griderà al bavaglio, perché criticato per avere pubblicato intere paginate di intercettazioni telefoniche o di atti di indagine protetti dal segreto istruttorio, fategli fare un viaggio in Europa.