In questo momento sulla Rai, sarà che siamo in piena campagna elettorale, se ne sentono sparare di grosse, al punto che l’azienda pubblica, cioè di tutti, sembra figlia di nessuno. Le polemiche di fonte politica traggono ovviamente occasione da talk show e inchieste, col relativo affollarsi di candidati al martirio, immaginario o immaginato, con tanto di difensori d’occasione distinguibili fra opportunisti, incompetenti relativi e analfabeti assoluti (quelli col ritornello della privatizzazione).
Se c’è qualcosa che oggi indebolisce la Rai è, come ci è capitato di dire e ridire, il fatto che i vertici, quand’erano – autunno 2015 – ancora nuovi e politicamente pimpanti, commisero l’errore di accantonare la riorganizzazione dell’informazione. Sembrava prudenza e invece era il suo contrario agli occhi di chiunque conoscesse dall’interno la storia e il tessuto dell’azienda, e avesse dunque chiaro che quello era il punto da cui partire per non ritrovarsi col morto in casa (i retaggi politici ed economici della lottizzazione). Dopodiché, cambiata l’aria anche per come è andato il referendum, è ripartito alla grande l’antico gioco delle convergenze fra politicanti a caccia di consensi e gruppi redazionali in prudenziale ricerca di coperture in vista dell’incerto futuro. Il tutto è parso, da ultimo, chiarissimo nel batti e ribatti attorno al Report dei vaccini.
Se per un attimo si accantona il palcoscenico delle suddette batracomiomachie e si scende nella platea dell’auditel, il panorama appare invece addirittura idillico per la Rai. Prendiamo ad esempio i dati di questi primi venti giorni di aprile, concentrandoci sulla fascia oraria dalle 19 alle 23, quella che conta più spettatori e dove la Rai si gioca il grosso dei suoi proventi pubblicitari dato che vi concentra gli spot, contingentati rispetto ai privati, che le è giornalmente consentito di trasmettere. Rai, nel suo complesso, che nell’aprile 2016 era al 38,6% di share, nello stesso periodo del 2017 arriva a sfiorare il 40%. A farne le spese, flettendo ciascuna più o meno di un punto, sono Mediaset e La7 (la seconda arretra particolarmente tra i laureati, segno che il tipo di talk show che l’ha tenuta in quota è alle prese con una crisi di fondo).
Passando al dettaglio delle reti Rai emerge che Rai1 è al migliore risultato degli ultimi quattro anni, attirando i pochi decimali ceduti da Rai2 e Rai3, mentre, e qui l’impressione è forte, i canaletti segnano nel loro insieme una specie di trionfo, in particolare sfondando nel pubblico più giovane, che per l’azienda di stato pareva perso per sempre. La morale ci sembra che sarebbe un atto demenziale, chiunque lo compisse, far tracollare la situazione: non accelererebbe il confronto urgente con le cose da fare e disferebbe quelle fatte. Detto così, da semplicissimi osservatori. Tanto per mettere a verbale.