Un popolo di divagatori

Al liceo c’erano materie più o meno ostiche quando si trattava di essere interrogati. Il latino, la fisica, la matematica lasciavano poco spazio alla divagazione, quell’arte che consisteva nell’eludere una domanda di cui non si conosceva la risposta, sviando il discorso su un qualunque altro tema di cui si avesse una minima cognizione. Era una tecnica che alcuni maneggiavano magistralmente in materie come lettere, storia e filosofia, e in cui una scena muta sulla Rivoluzione Inglese e la salita al trono di Guglielmo III d’Orange si trasfigurava in venti minuti di dissertazione sullo sfruttamento del continente africano da parte dell’occidente industrializzato. La performance a volte funzionava, e i professori – per pietà, raramente per sincera ammirazione – tolleravano i collegamenti con l’attualità o la dimostrata capacità di avere una visione articolata e dinamica della materia; ma nella quasi totalità dei casi ci si scontrava con la dura realtà di professori dotati di un solido senso del ridicolo, e con i loro «Veramente la domanda era un’altra», che risuonavano nell’aula come il cuore rivelatore di Edgar Allan Poe. Ieri sera a Otto e mezzo era ospite Alessandro Di Battista, che alle domande sulle accuse mosse dal Movimento 5 Stelle alle Ong che lavorano nel Mediterraneo di essere «taxi dei migranti», a un certo punto ha tuonato: «Ma l’abbiamo bombardata noi la Libia? Abbiamo preso noi i quattrini da Buzzi di mafia capitale?», conquistandosi ancora una volta sul campo i gradi di comandante in capo di tutti i divagatori che ce l’hanno fatta.