La Rai del primo Amministratore dall’ampio potere sta terminando il suo ciclo esattamente da dove con tutta evidenza avrebbe dovuto cominciare: la riforma della struttura dell’informazione. Perché sono tutti lì i nodi organizzativi ed economici che costringono la Rai, ben che vada, alle fughe da fermo. Come sciogliere quei nodi? L’idea più gettonata è di «liberare la Rai dalla politica», formulata in versione sbarazzina da bar («privatizziamo») e pensosa da convegno (facciamo la Fondazione, diamo le nomine ai Rettori d’Ateneo e via contorcendo).
Ma i problemi sono più interni alla Rai che derivanti dal sistema di leggi e poteri che la condiziona, anche perché in questi anni qualcosa di nuovo è accaduto: la cancellazione dell’evasione grazie al canone in bolletta (2016) che di per sé offre basi più solide all’autonomia degli amministratori; la spinta alla privatizzazione – quella sì – di Rai Way (2014) che consente di reinvestirne il patrimonio nel più largo mondo; la eliminazione (2014) dell’obbligo di mantenere sedi – cioè tante piccole Rai – in ogni regione, pur garantendo la presenza dei corpi redazionali; il recente (2017) rinnovo della Concessione unito a una Convenzione che, evento miracoloso, pare spingere più al rinnovo che all’immobilità. E anche l’ultima riforma della governance (2015) qualcosa ha cambiato, togliendo alla commissione di Vigilanza e trasferendo alle Assemblee la nomina di un cda ristretto e, per questo, meno lottizzabile, e potenziando fortemente i poteri dell’Amministratore.
È vero che, per ragioni transitorie, 22 mesi fa un Consiglio di vecchio tipo è stato messo a convivere con un Direttore generale molto potenziato. Questa contraddizione ha forse indotto il Dg a prenderla larga scartando l’immediato show down sulla cruciale riforma dell’informazione. Ma così i vecchi vizi hanno avuto il tempo di ritrovarsi. E qui non ci riferiamo alle trame del famoso “Partito Rai” perché nel corpo concreto dell’azienda, l’eredità genetica del rapporto con la politica, a Roma e fuori Roma, ci pare, a dirla schietta, solo uno dei problemi, e comunque quello più superabile. Pesa invece, immaginiamo, per redattori e tecnici, la indefinitezza di un futuro, in un settore ogni giorno più obsoleto da quando le news hanno trovato in internet molteplici altre strade per arrivare alla gente. Ed è inevitabile che questa sensazione di tramonto spinga a cercare il soccorso stabilizzante della politica, dal Consiglio di amministrazione lottizzato fino alle amministrazioni locali. Così, finché si è governati dalla paura, si guadagnano giorni e se ne perdono altrettanti.
Nel contempo, queste e non altre sono le risorse con cui plasmare il tanto nuovo che serve. Perché, per fare la informazione tv alla vecchia maniera, di personale ne basta un decimo. Mentre per il nuovo servizio informativo pubblico che palesemente serve, basti pensare alla solita Bbc, non c’è nulla da buttare via. Insomma, lo diciamo ai nuovi che arriveranno, provate a immaginare che la soluzione stia nel problema. E fatevi coraggio.