Le amministrative di ieri, al di là di tante analisi, suggeriscono l’idea che si sia abbassato il fuoco sotto il pentolone della società italiana. Ed è probabile che ciò stia avvenendo per modifiche nei fattori strutturali, essenzialmente economici, che quel fuoco avevano fatto divampare. A partire dalla crisi Lehman Brothers con conseguente disoccupazione, oscuramento delle prospettive di individui e famiglie, blocco dell’ascensore sociale, trascinamento in basso del ceto medio. A supporlo siamo indotti – prima che dalle statistiche dell’Istat, che pure mostrano da qualche tempo indicatori occupazionali e di fatturato di segno positivo – dal ritorno della platea televisiva alle dimensioni del 2009, cioè prima della crisi, dopo il rigonfiamento di circa il 10% che si era verificato a seguito del rarefarsi dei soldi nelle tasche e della conseguente necessità di passare più tempo in casa, anziché in pizzeria o al calcetto.
Lo sgonfiamento della “bolla d’ascolto” ha riguardato essenzialmente l’ascolto di famiglia, che va dalle 20 alle 22.30 e comprende i principali tg oltre alla prima serata. Per contro, dove l’ascolto ha un carattere più individuale, legato alla condizione di lavoro, come accade per il cuore del pomeriggio dove è dominante la presenza di casalinghe in pausa e disoccupati in attesa, la platea si è allargata di un buon dieci per cento. Se ne deduce che dalla crisi per un verso stiamo uscendo, e dunque abbiamo più soldi da spendere fuori casa dopo il tramonto del sole, ma nel contempo i disoccupati sono ancora molto più numerosi rispetto al 2009, e per questo non resta loro che starsene reclusi a guardare la tv e mordersi il fegato. E pare che sia quanto sta accadendo particolarmente in alcune regioni: il Veneto al Nord, l’Emilia Romagna e le Marche al Centro, la Puglia al Sud.
Comunque, nell’insieme, la situazione pare davvero in movimento verso la fase della post-rabbia. E, se la congiuntura economica non avrà tracolli, il corpo elettorale potrebbe ridefinire gli orientamenti dopo il molto che ha dato al teatro della febbre, messo in scena dal cosiddetto “populismo” in strutturale sintonia con i tabloid (sensazionalisti un tanto al kilo) che in Italia, come è noto, non vivono nelle edicole, come in Inghilterra o Germania, ma sugli schermi televisivi. Certo, a sgonfiare del tutto la bolla politica della rabbia, che inevitabilmente premia i partiti-brand (à la M5S o come la Forza Italia del tempo che fu) ci vorrebbe la introduzione dei collegi elettorali (tedeschi o, meglio ancora, francesi) che personalizzano sul singolo candidato la scelta degli elettori. A meno che Pd, Fdi e compagnia non pensino che i loro brand siano ancora un mezzo per convincere e avvincere. E allora meriterebbero di straperdere.