Il contrario di una legge sulla tortura

Per molti della mia generazione è impossibile dimenticare quello che successe durante il G8 di Genova del 2001. Non possiamo e non vogliamo dimenticare quel che successe al termine del G8, la sera successiva all’uccisione di Carlo Giuliani: la mattanza della Scuola Diaz e le sevizie di Bolzaneto. Fu per molti di noi un momento di svolta. Molti decisero di iscriversi a un partito, altri a un sindacato, tantissimi svilupparono un sentimento di timore e diffidenza nei confronti delle forze di polizia e dello Stato. Se chi ci deve proteggere si comporta così, per quale motivo dovrei denunciare un reato? Come posso distinguere i buoni dai cattivi? Se lo Stato che dovrebbe punire i prepotenti e tutelare gli innocenti non fa nulla, come posso sentirmi parte di una comunità e di una nazione?

Queste ferite sono profonde, fanno male e rimangono lì, non si rimarginano con il tempo. Si curano, o almeno si leniscono, solo con le scelte politiche, lavorando per fare in modo che fatti come quelli accaduti alla Diaz e a Bolzaneto non accadano mai più. Una delle occasioni che avevamo per trasmettere questo messaggio era, dopo ventotto anni di tentativi falliti, introdurre nel nostro paese il reato di tortura. Ora, già il fatto che la sua introduzione venga vissuta da alcuni come un atto punitivo nei confronti delle forze dell’ordine, ci dovrebbe far capire che in questo paese abbiamo un problema. Il reato di tortura dovrebbe aiutare le forze dell’ordine: punire chi sbaglia, tra l’altro, serve anche a evitare che non si faccia di tutta un’erba un fascio. Prima il Pd avrà il coraggio di dirlo ad alta voce, prima avremo la forza di affrontare le mele marce chiedendo giusti processi, prima rafforzeremo il sentimento di sicurezza che tanto si sente evocare. Non è inseguendo la destra su questi temi o negando l’esistenza del problema che risolveremo qualcosa.

Abbiamo inviato il testo della legge modificato al Senato il 9 aprile 2015, ci è ritornato indietro il 17 maggio 2017, 769 giorni dopo. Settecentosessantanove. Completamente stravolto. Non so come commenterebbe il Presidente Grasso, ma in questo caso il Senato non è stato molto celere. La legge ci veniva sollecitata anche dal consiglio d’Europa, dopo che l’Italia era stata condannata nel 2015 dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo proprio per le violenze alla scuola Diaz. Ebbene, il consiglio d’Europa ci ha comunicato che la legge, così come è stata modificata, non solo non rispetta le convenzioni Onu, ma nemmeno adempie agli obblighi che erano derivati da quella sentenza. Le violenze della Diaz non rientrerebbero tra i reati punibili con questa legge. È quindi, in sostanza, una legge che è l’opposto di quello che doveva essere e delle ragioni per cui era stata scritta.

In questi anni di attività parlamentare ho imparato che il meglio è spesso nemico del bene, e che (specie con i numeri del Senato) per andare avanti bisogna saper mediare e fare un passo alla volta. Ho sempre rispettato le decisioni prese dal mio partito e dal mio gruppo, anche quando non ero del tutto convinta. Ma in questo caso no. Non posso accettare l’ennesimo schiaffo a una storia, a un lavoro fatto in commissione, a mille e mille persone che guardano a noi con fiducia. Questo risultato non è un passo avanti, non è il bene che è nemico del meglio, ma il peggio del peggio. E non si può accettare.