Matteo Renzi ha ribadito in questi giorni che lo ius soli rappresenta una scelta di principio e di civiltà su cui i democratici non intendono tornare indietro, nonostante il clima non sia particolarmente favorevole all’accoglienza, nel pieno di un’ondata di flussi migratori che offre il terreno più favorevole alla propaganda populista e xenofoba. Nonostante le sconfitte subite alle amministrative, che molti addebitano proprio alle posizioni del Pd su immigrazione e diritti di cittadinanza. Nonostante un concerto dei mezzi di comunicazione che un giorno accusa i democratici di non capire le legittime preoccupazioni degli italiani di fronte ai flussi migratori e il giorno dopo li accusa di tradire i valori della sinistra (fino al rischio della «bancarotta etica»!). Nonostante fior di intellettuali e commentatori che nelle ore pari rimproverano al Pd l’incapacità di far rispettare agli altri governi europei gli impegni sulle ricollocazioni e nelle ore dispari l’irresponsabilità di attaccare gli altri governi europei che non rispettano gli impegni sulle ricollocazioni.
Nonostante tutto questo il Pd ha deciso di andare avanti sullo ius soli, praticamente da solo, talmente solo che persino la leader della sinistra dura e pura Anna Falcone è arrivata a insinuare, con argomento tanto inconsistente quanto popolare nella destra xenofoba, che il suo vero obiettivo sia «avere il voto dei nuovi cittadini a cui si dirà che hanno la cittadinanza grazie alla riforma di Matteo Renzi».
Fin qui, si potrebbe osservare, nulla di strano. È piuttosto normale che tutti i populisti, di destra e di sinistra, cerchino di speculare sulle paure degli elettori per lucrare qualche voto. La difficile posizione in cui si trova oggi Renzi è in fondo, da sempre, la scomoda posizione della sinistra di governo, alle prese con fenomeni globali difficili da governare, che mettono in tensione principi e diritti diversi, alimentando conflitti e paure. La novità è che siccome in un passaggio del suo libro in uscita, ripreso pure in una improvvida “card” sui social network, Renzi ha usato l’espressione «aiutarli a casa loro» invece di «aumentare i fondi alla cooperazione internazionale», da ieri l’intero fronte della sinistra che ha a cuore i diritti degli immigrati e i valori della convivenza se la sta prendendo con il Pd (cioè con l’unica forza politica che si stia concretamente battendo per affermarli). Per una questione terminologica.
È un caso che andrebbe studiato nelle scuole, perché dice tutto di un certo mondo progressista e della sua scala di priorità, che non vede dunque in cima la legge, il fatto, l’affermazione di un diritto per tutti, ma la comunicazione (e poi sarebbe Renzi, quello fissato con lo storytelling). Tralasciamo i tentativi di demonizzazione più scoperti, come quello di chi arriva persino ad addebitare al Pd il traffico di armi in Africa (per la fame nel mondo aspettiamo la campagna elettorale). Alla sorte del segretario del Pd si ha tutto il diritto di disinteressarsi, sebbene questo diritto venga quotidianamente conculcato dai tanti che volevano fare la rivoluzione socialista e si sono ridotti a fare gli stalker di Renzi, e non passano giorno senza commentarne le malefatte. Ma alle sorti dell’Italia?
La tenaglia tra montismo e populismo sta ricominciando a stringere. Quando Renzi minaccia rappresaglie sul Fiscal Compact nel caso in cui l’Europa continuasse a lasciare l’Italia da sola sul fronte degli sbarchi, non fa una semplice provocazione e non istituisce un nesso arbitrario. Si tratta infatti della stessa partita, l’unica che conta, e non per Renzi o per il Pd, ma per l’Italia. La battaglia per un’Europa più solidale e più lungimirante, che scommetta sullo sviluppo e sul futuro. Dalla crisi del 2011 in poi l’Italia ha oscillato tra un europeismo di maniera e un antieuropeismo autolesionista. Due diverse minacce, queste sì, alla stessa sovranità nazionale, che si alimentano a vicenda. Da una parte una compressione dell’interesse nazionale in nome di un astratto ideale europeo che finisce per alimentare, inevitabilmente, la reazione populista e antieuro delle fasce popolari chiamate a pagarne il prezzo. Dall’altro un populismo irresponsabile che mette a rischio la tenuta stessa dell’economia nazionale, suscitando la reazione opposta, con l’appello a nuove soluzioni tecnocratiche per mettere in sicurezza i conti del paese e i risparmi degli italiani.
Per uscire da questa tenaglia, obiettivamente, non si vedono molte altre strade, per una sinistra democratica e di governo, al di fuori del tentativo di tenere insieme battaglia per lo ius soli, sia pure nella forma temperata dello ius culturae, e battaglia per imporre all’Europa una maggiore condivisione del peso e dei costi dell’immigrazione. Vale a dire: battaglia in difesa di principi e diritti di civiltà, e insieme battaglia per governare in modo responsabile problemi sociali reali, che hanno un impatto reale sulla vita reale delle persone, specialmente tra le fasce più deboli, e non si possono risolvere con le prediche. Così come, sul terreno dei conti pubblici, non si vedono molte altre strade, al di fuori del tentativo di imporre una diversa politica economica europea, fuori dalla gabbia dell’austerità.
Stretti tra gli sproloqui sovranisti di una destra sempre più radicalizzata, le prospettive venezuelane del populismo antieuro dei grillini e una tecnocrazia euroitaliana che già si è dimostrata assai scarsa pure dal punto di vista tecnico (vedi il caso degli esodati), non si capisce quale sarebbe l’alternativa, per il futuro della sinistra e dell’Italia, alla difficile battaglia ingaggiata, tra mille errori e mille contraddizioni, ma anche in perfetta solitudine, da Matteo Renzi e dal Partito democratico. Per chi, come noi, ha a cuore questi principi e questi obiettivi, non è il momento di dare lezioni. È il momento di dare una mano.