Joshua Green sul New York Times del 15 luglio annota che nonostante l’evidenza della mail circa i russi noleggiati per sputtanare Hillary, i seguaci di Trump non hanno fatto una piega. Il punto, congettura Johsua, è che le destre non sono più quelle di una volta perché, partiti dai loro nidi estremi, i club paranoici – dai nazi agli entusiasti religiosi – hanno fornito alla palude conservatrice lo spirito di crociata che andava cercando contro il progressismo e contro la corrosione dei valori, dei portafogli e dei mestieri antichi. E come capita nelle crociate, il fine assolve i mezzi, compreso il pappa e ciccia con lo storico e atomico avversario eurasiatico. Del resto in Italia abbiamo visto fiorire un centro destra senza limiti a destra che ha anticipato di decenni la convergenza dei nazi d’Oklahoma con i rentier della finanza, dei trump-palazzinari con il neo-lumpen proletariat del Michigan.
Tanto di guadagnato, a ben pensarci, per la sinistra che, mentre ancora non ha un’idea di sé, dispone almeno di un nemico vero col quale scontrarsi. Scontrarsi dove? Ma ovviamente sui mezzi di comunicazione, la piazza d’armi globale pavimentata di media mainstream, di code lunghe di virtù e vizi variamente assortiti, di bolle social-settarie in cui tutti potrebbero comunicare con tutti, ma si ritrovano sempre con i propri simili. Bunker autoreferenti che chi li espugna vince la battaglia. E qui torna utile sapere che in questa “guerra” non esiste differenza fra fake e realtà (patetici gli sforzi dei fact checker) perché i fatti hanno molte facce e ciascuno vi riconosce solo quella familiare o che s’accorda con la propria “visione”, e il falso è pronto a ritenerlo, al massimo, uno scafartiano “errore”.
Insomma, siamo, sì, ai manganelli, ma vengono usati per picchiare sul principio di realtà, con l’aiuto ottuso dei mass media mainstream che, spinti dalle urgenze di micragnosi bilanci, si piegano al clima da tabloid (le eccezioni individuali assortiscono l’insalata, ma non ne cambiano la natura). Solo la Rai, ora che il canone in bolletta le assicura la pagnotta, potrebbe passare dalla informazione un tanto al kilo a quella qualificata, allo scavo profondo e continuativo della realtà, fino a farne zampillare fatti, nessi e strutture narrative diversi da quelli che, inerzia dopo inerzia, stanno dominando il discorso pubblico. Il che però richiede lavoro concentrato e qualificato di molti su prodotti narrativi e informativi di alta qualità tanto sul piano del contenuto che su quello dell’espressione.
E dunque non accadrà finché l’azienda non avrà ridotto i costosissimi elementi di dispersione (le testate multiple, la nebulosa delle edizioni dei Tg etc, tutte le eredità di un “pluralismo” oggi ridicolo) per convertirsi allo scavo delle profondità anziché alla occupazione delle superfici. Insomma, Orfeo dovrebbe prendere il coraggio a due mani e scendere nel mondo dei morti dove staziona da decenni la ragion d’essere di una azienda pubblica di comunicazione. E da lì risalire al settimo piano, senza voltarsi indietro, per carità!