In difesa dello snobismo democratico

Cara Left Wing,
Andrea Vigani ci ha ricordato ieri che lo snobismo, a volte persino involontario, di noi saputi nei confronti dei grillini non ci aiuterà a rimettere in sesto la baracca. Vigani ha purtroppo ragione, anche se a mettersi a farne l’elenco, delle bestialità storiche e dei riferimenti farlocchi inanellati dai cinquestelle, c’è da prendere una risma di A4 intonsi e finirla e averne ancora d’avanzo. Ma se il problema fosse quello basterebbe un semestre di Scuola Radio Elettra, di Cepu, una full immersion di seconda media e la gran parte delle lacune sarebbero colmate.

Invece secondo me il fatto è un altro, o forse è l’altra faccia della stessa medaglia: Andrea vede il rifiuto della cultura politica consolidata, io ci vedo l’orgoglio dell’ignoranza. A volte li sento e mi vengono in mente certi parenti, di quelli che «cosa ne sapete voi studiati, la vita vera è di noi che non siamo rimasti a scaldare sedie all’università, di noi che abbiamo i calli sulle mani» e più gli facevi notare che il buon selvaggio era buono – appunto – giusto nelle favole più si scaldavano e diventavano aggressivi e alzavano la voce: e trovavano sempre qualcuno nei dintorni disposto a dar loro ragione. C’era in loro – e pare esserci in questa banda di individui che confonde Auschwitz con Austerlitz – la reazione scomposta del complesso di inferiorità travestita da celebrazione della veracità, dell’onestà delle cose e delle persone terra terra.

Abbiamo ciò che ci meritiamo, d’altra parte: sono cinquant’anni che osanniamo il re degli ignoranti e lo abbiamo mandato al numero uno in classifica, la logica conseguenza era quella di costruire la classe dirigente bio, quella senza additivi né coloranti, composta da capre quanto e persino più di noi; ma siccome bisogna aggrapparsi a qualche speranza, anche flebile, mi piace credere che niente resterà impunito, che prima o poi arriverà qualcuno che riesce ad arrivare in fondo alla Settimana Enigmistica e, se non verrà crocifisso per un congiuntivo esatto, diventerà imperatore di questo paese, o di quel che ne sarà rimasto.

Caro Pilu, tutto questo è già accaduto. Tutta questa sua profezia si è già avverata, e in nome di questi stessi principi abbiamo già nominato un simile imperatore, a furor di popolo o almeno di intellettuali (o almeno degli intellettuali che scrivono sui giornali). Si chiamava Mario Monti. Ci pensi.