Murdoch il giovane (di nome James), Ceo del noto gruppo e figlio del tycoon, è inguaiato, leggiamo sul New York Times, dall’opportunismo mediatico che consente alla ditta due parti in commedia: da un lato drenando ricavi grazie ai fedeli di Fox News (caposaldo cattivista contro ogni politically correct), dall’altro ammucchiando titoli, e cioè patrimonio sonante, in Fox Film con storie – una fra tante appena vista su Sky: Diritto di contare, che pare sceneggiato da Martin Luther King – che paiono fatte apposta per mandare in bestia i suprematisti bianchi, quelli che, altro che i colletti blu del Michigan, hanno issato Trump accanto alla valigetta rossa dei comandi nucleari.
Si dirà che il denaro non ha idee e che un editore, come il sarto, serve il cliente. Ovvio, ma vale solo finché il sarto non si specializza in divise. E oggi capita appunto che dal balcone di casa Murdoch la Fox dei talk show, vessillo dei tea party, sventoli accanto alla buonista Fox cinematografara. Se le due tribù arrivano a scontrarsi nella sottostante piazza, è ovvio che tutti, smettendo per un attimo di confrontarsi, alzino lo sguardo e pensino che in quella casa abiti comunque un imbroglione.
Che è esattamente quel che è capitato con gli scontri di Charlottesville (Villa Carlotta), dove il tessuto politico culturale degli Usa ha mostrato ordito e trama con inconsueta chiarezza. C’è una destra profonda, frutto di storia e guerre, e c’è una spinta emancipatrice di minorities e donne. Il che rende il monumento equestre del generale Lee non una vestigia del passato, come la statua di Augusto e neanche come i testoni del Duce venduti fra le carabattole, ma segno nel presente. Col che si capisce sia il motivo per cui tanti vogliono sbarazzarsene sia la rabbia di chi vuole tenere quel cavaliere al suo posto, al punto da levarsi il cappuccio (in questi tempi di Trump) e tentare la sortita contro una Storia che non ha mai digerito. I primi si identificano nelle storie di Fox Film mentre i secondi non vivono senza Fox News.
A noi resta da osservare che questa divisioni di ruoli editoriali non è casuale. Ai talk show, che devono tirare la carretta ogni giorno o ben che vada ogni settimana, si attaglia il sensazionalismo iterativo degli uomini che mordono i cani. E dunque sono, naturaliter, opposizionisti, non importa se in chiave di destra o di sinistra (La7, che sui talk show è costruita, ne costituisce un esempio). Il cinema e le serie invece si basano sulla struttura del racconto, che è tale se si postula che gli eventi marcino in qualche direzione. E allora è naturale che, magari senza accorgersene, civettino con il mito del Progresso e perfino il Clint Eastwood dello schermo si ritrovi tra i riformisti. Le idee di entrambi i generi, insomma e come al solito, sono pre-inscritte nelle loro forme. E così il povero James Murdoch, da poco quarantenne, si trova preso nel mezzo di questa non casuale contraddizione che mette a rischio la cassa. Può contare ovviamente sulla nostra, teorica, comprensione. Su quella del padre, non sappiamo.