Domenica il professor Romano Prodi ha scritto un articolo sul Messaggero molto critico sulla normativa sostitutiva dei voucher che risulta molto meno utilizzata di quella precedente e che pertanto ha probabilmente spostato sul lavoro nero buona parte della domanda. Credo che Romano Prodi abbia sostanzialmente ragione, anche se occorre forse attendere qualche altro mese per valutare l’effettivo impiego di uno strumento nuovo le cui regole devono prima essere pienamente comprese. Può darsi che le quantità crescano e che il giudizio possa essere in parte ridimensionato.
Il punto però che stupisce è che in questo suo primo intervento sulla materia, che ha avuto uno sviluppo medio lungo, in particolare dalla raccolta di firme della Cgil per un referendum abrogativo (in origine simultaneo a uno sul Jobs Act dichiarato inammissibile dalla Corte), il professor Prodi sembra andare in contraddizione col Prodi politico. Questo secondo, infatti, da mesi sostiene una linea di critica al Pd attuale perché poco aperto ad alleanze verso la sua sinistra.
Ora le ragioni della maggioranza di governo per eliminare del tutto i vecchi voucher e sostituirli con una normativa nuova erano di due tipi: il primo, sostanziale, economico perché un po’ tutti gli osservatori avevano sostenuto che dello strumento si era abusato (anche se poi i medesimi osservatori non concordavano sulla misura: quelli a sinistra del Pd erano i più intransigenti); il secondo, accidentale, politico perché l’eventuale celebrazione del referendum sarebbe capitata insieme alle amministrative. Se la maggioranza avesse operato solo un limitato ridimensionamento dei voucher il quesito si sarebbe spostato sulla nuova normativa. A quel punto il Pd avrebbe fatto campagna per difendere la nuova legge, col No o con l’astensione, e i gruppi alla sua sinistra insieme alla Cgil lo avrebbero attaccato. Avrebbero retto alcune coalizioni locali a questa polemica nazionale sia in termini di patti elettorali sia di convergenza tra gli elettorati?
Più in generale, però, la personalità di Prodi e il suo richiamo alle coalizioni rappresentano uno dei punti chiave di ambiguità del centrosinistra di governo nella seconda fase della Repubblica. La personalità di Prodi ha espresso due realtà del tutto diverse, l’Ulivo e l’Unione, su cui spesso si fa confusione cercando di assimilarle. L’Ulivo di Prodi (ma anche e soprattutto di Andreatta) aveva una precisa base programmatica, analoga ai vari centrosinistra vincenti, europei ed americano, degli anni novanta ed era per questo sorto sulla base di una duplice rottura: a sinistra con Rifondazione (verso cui fu stipulata solo un’onesta desistenza che prendeva atto delle differenze insormontabili, anche se poi purtroppo alla Camera i voti di Rifondazione furono decisivi e non ressero alla giusta scelta di un intervento nella guerra del Kosovo, casomai troppo tardiva) e al centro coi settori provenienti dalla scissione del Ppi che credevano possibile una “normalizzazione” di Forza Italia verso un normale centrodestra europeo.
L’Unione fu invece la costruzione di un’alleanza contro natura, dai troskysti fino a Dini e Mastella, con base programmatica obiettivamente evanescente, anche se può avere avuto un grande merito storico, forse l’unico: evitare che Berlusconi fosse eletto al Quirinale a inizio legislatura. Il Prodi che critica la riforma dei voucher è indubbiamente il Prodi che richiama l’Ulivo, anche se forse la critica avrebbe potuto essere più efficace se tempestiva. Il Prodi che parla costantemente di coalizione con le forze a sinistra del Pd sembra richiamare più l’Unione e una logica tutta di politics che mette tra parentesi le differenze sulle policies. Se queste differenze sono meno rilevanti sul piano comunale o regionale, la lista degli esecutivi nazionali caduti per differenze difficilmente componibili e prevedibili è già troppo lunga nella seconda fase della Repubblica perché se ne debbano aggiungere altri. Per questo il Prodi sui voucher, quello dell’Ulivo, appare tra i due il più convincente.