Come uscire dal buco nero

Lettera di risposta al nostro appello


Una delle rivoluzioni più affascinanti
della fisica è stata abolire il tempo dalle sue equazioni. Reinterpretarlo, degradarlo fino a ritenerlo effimero. Pensateci bene, cos’è il tempo se non una misurazione di come le cose si muovono l’una rispetto all’altra? È per questo che dentro ai buchi neri il “tempo” si ferma. Più ci si avvicina al centro, più la materia trova difficoltà a muoversi, rallentando fino a cristallizzarsi. Fuori da lì, però, tutto continua a scorrere con placida indifferenza, a una velocità diversa, doppia, tripla o ancora di più, scegliete voi. Questa teoria, sommariamente e irrispettosamente descritta, si chiama «gravità quantistica a loop».

Ecco, la nostra generazione, quella che va dai 25 ai 35 anni per intenderci, è la generazione dei buchi neri, o meglio, nei buchi neri. Chi abbia generato questi buchi e come ci siamo finiti dentro è storia fin troppo conosciuta. Su come si vive in questa condizione vale invece la pena soffermarsi. Ci si sente, come scrivevo prima, immobili rispetto all’ambiente circostante, e quindi incapaci di incidervi un segno. Si vede il mondo da una prospettiva diversa, statica e senza apparenti possibilità di cambiamento. Ed è così che lentamente cambiano gli obiettivi, i sogni e le aspettative. Si vive alla giornata e si cerca di costruire quel che si può, aspettando lo slancio giusto per sfuggire le fredda legge gravitazionale che ci zavorra. Per farla breve noi non ci muoviamo, o ci muoviamo troppo piano rispetto a chi c’è stato prima e chi ci sarà dopo, rispetto alla società, al mondo del lavoro e ai suoi ritmi. Siamo fuori fase.

Dall’altra parte, fuori dal buco nero, c’è una politica lontana anni luce che neanche ci scorge, c’è un sistema dell’informazione che si occupa di universi paralleli, ci sono pochi, disparati tentativi di venirci a ripescare lì dentro, che spesso e volentieri si riflettono in totali fallimenti. C’è una regola ferrea quando si parla di buchi neri: nulla al loro interno può riemergere. Persino la luce viene risucchiata e subisce un redshift gravitazionale infinito, perdendo tutta la sua energia cercando di uscire. Sarebbe facile chiuderla qui dunque, con un principio che suona come una sentenza: le cose stanno così e non c’è niente da fare.

Ma siamo prima di tutto persone, solo dopo atomi. E abbiamo il dovere di farci sentire, di confrontarci e di trovare insieme una strada per tornare a far parte di un Universo che ci meritiamo e che ha bisogno di noi. Per fare questo, però, è necessario che chi sta lì fuori intercetti i nostri segnali e stabilisca un contatto. Non so se a Tarquinia troveremo la soluzione definitiva a tutti i problemi della nostra generazione, ma spero che potremo dare il via a uno slancio che ci liberi da questa condizione. E allora parliamone il 16 e il 17 settembre, nella speranza che il tempo, una volta per tutte, torni a scorrere anche per noi.

Giampaolo Mangone
geologo