Il sangue degli altri

Lettera di risposta al nostro nostro appello


Cara Left Wing,

ho quarantadue anni, sono vivo e sto bene grazie al fatto che gli altri intorno a me, il prossimo, la gente, i miei simili, vanno a donare il sangue. Sono vivo e sto bene perché in tutta Italia ogni mattina delle persone che non conosco vanno in un ospedale e donano il sangue, senza sapere a chi andrà, quel sangue. Questo succede perché la società è, in fondo, composta sopratutto da gente generosa. Tra quella gente, non c’è dubbio, ci sono dei razzisti, dei violenti, delle donne che evadono le tasse, dei ragazzi che votano per partiti orribili. Eppure, sono il mio prossimo, e fanno qualcosa per gli altri – anche per me – ed è per questo che chiunque può sempre essere salvato, che il nostro giudizio su chiunque dovrebbe sempre essere parziale. È per questo che non riesco a pensare che ci sia un prossimo di cui non dovrebbe interessarmi. Mi è capitato, nella vita, di fare le trasfusioni a Pavia, a Bologna, a Roma, a Londra. Ho avuto nelle mie vene il sangue di migliaia di sconosciuti e sconosciute, e non posso pensare che ci aspetti un futuro in cui sempre più italiani pensano che gli altri non li vogliamo. Che degli altri non possiamo prenderci cura. Che della sorte degli altri, di quegli altri lì, non ci importa affatto. Non posso rassegnarmi, in nessun modo, al pensiero che questo Paese che mi ha consentito di essere vivo e di stare bene nonostante il mio continuo bisogno di sangue altrui, sia sempre più indifferente alla sventura, alle tragedie, alla morte per mare e per terra di quelli lì. Siamo noi, quelli lì. Raccontiamolo ogni giorno, ricordiamolo a tutti, scriviamolo continuamente sui nostri profili social. Siamo noi, quelli lì, la loro sorte ci riguarda, il loro sangue è identico al nostro.

Flavio Soriga