A leggere i giornali tutto sembrerebbe semplice e lineare: il Pd ha commesso un atto di teppismo parlamentare aggredendo una delle istituzioni più affidabili del paese, mettendone in discussione indipendenza e autonomia con l’unico obiettivo di guadagnare qualche voto o distogliere l’attenzione dalle proprie enormi ed evidenti responsabilità sulle crisi bancarie di questi anni. È infatti questa la narrazione fatta propria dal 99 per cento (in realtà avremmo scritto del 100 per cento, perché tesi contrapposte non ne abbiamo trovate, ma vogliamo credere che qualcosa ci sia sfuggito) dei commentatori del paese. Peccato sia falsa.
Dopo sei anni il governatore di Bankitalia è al termine del suo mandato. Per sei anni il Pd – a differenza di altre forze politiche – ha rispettato l’indipendenza e l’autonomia di una istituzione così importante senza esprimere giudizi sul suo operato. Ma alla vigilia di una nuova nomina è non solo un diritto, ma persino un dovere delle forze politiche e del Parlamento esprimere una valutazione su come siano andate le cose e farlo nel luogo preposto, ovvero il Parlamento. È un dovere farlo soprattutto a fronte di quanto accaduto in questi anni. Altrimenti su che basi il governo, che col parlamento ha un rapporto fiduciario, avanzerà una proposta al presidente della Repubblica?
Certo, nei vent’anni che abbiamo alle spalle Bankitalia ha svolto un ruolo debordante – vedremo più avanti con che risultati – anche per supplire all’inadeguatezza della politica. Ma non può essere questa la fisiologia in un sistema democratico. Tanto meno può valere il principio dell’insindacabilità di un governatore. La nomina dunque va fatta sulla base di un giudizio su quanto accaduto in questi anni. Qualora si volesse procedere alla riconferma del governatore uscente, non si pensi dunque di farlo con la formula vuota e retorica della tutela dell’indipendenza di Bankitalia. In primo luogo perché questa indipendenza nessuno la mette in discussione. E in secondo luogo perché andrebbe chiarito il concetto: indipendenza da chi? Dalla politica? Ovvio. Ma forse bisognerebbe ancor più porsi il tema dell’indipendenza e dell’autonomia dal sistema bancario su cui quell’istituto ha il compito di vigilare. Perché quanto accaduto in questi anni dimostra che il problema sta esattamente qui.
Non è un caso che la commissione d’inchiesta – già dalle prime audizioni – si sia imbattuta in ripetuti casi di discutibile commistione tra controllato e controllore. È successo ad esempio analizzando il caso della popolare di Vicenza, dove anche un autorevole esponente della segreteria dell’allora governatore parrebbe aver avuto dopo qualche anno rapporti professionali con quell’istituto bancario. Temo che di casi analoghi ne incontreremo non pochi, ad esempio quando arriveremo ad analizzare la travagliata storia del Monte dei Paschi di Siena. Questo meccanismo di porte girevoli è quel modello di indipendenza che si vorrebbe garantire con una nomina in continuità con quanto fatto in questi ultimi 6 anni? Se è così, basta dirlo. E assumersene la responsabilità.
Scegliendo un governatore si dà inevitabilmente un giudizio su quanto accaduto in questi anni. E allora evitiamo formule ipocrite come quella della tutela dell’indipendenza. Se si vuole – e sarebbe una posizione assolutamente legittima – il rinnovo del governatore uscente, si dica esplicitamente che si è convinti che abbia ben operato e che abbia guidato al meglio il sistema di vigilanza. Il Pd la pensa diversamente. La richiesta di discontinuità non mina la credibilità di Bankitalia, semmai è la condicio sine qua non per consentirle di recuperarla.
Ma quale che sia la scelta – e in ogni caso il Pd la rispetterà – resterà l’esigenza di fare presto chiarezza su quanto accaduto in questi anni in cui il Pd e il governo guidato dal suo segretario si sono trovati a gestire una serie di crisi bancarie le cui origini e cause precedono l’insediamento di quel governo. E le precedono spesso di molti anni (o si immagina di poter parlare, per fare solo un esempio, della crisi di Mps senza risalire almeno all’acquisto di Antonveneta?). Il governo si è preoccupato anzitutto di salvare risparmiatori, correntisti e lavoratori, mandando a casa i manager che avevano fatto disastri e mettendo in risoluzione quegli istituti. Lo hanno fatto innovando la legislazione con riforme importanti come quella delle popolari.
Per questo non accetteremo mai la narrazione di comodo che di queste vicende si tenta di dare. Il lavoro della commissione d’inchiesta – che molti non avrebbero voluto vedere insediata – sarà da questo punto di vista sempre più prezioso. Per questo appare davvero incomprensibile il nervosismo e la preoccupazione per l’operato di questo organismo. Forse da questo punto di vista è utile tranquillizzare tutti: una commissione d’inchiesta si fa per scoprire la verità, non per nascondere le responsabilità. Chi non ne ha, non ha ragione di preoccuparsi.