I consiglieri del cda Rai eletti dalla commissione di Vigilanza hanno scritto al presidente della medesima che «non può che essere la Rai la sede naturale del confronto fra Di Maio e Renzi. Così come di tutti i confronti delle altre forze politiche nella prossima campagna elettorale». Ma siccome è a tutti noto che ricorriamo a papà solo quando non ce la facciamo da soli, quei patrioti del “settimo” (il piano di viale Mazzini ove alloggiano) così implorando hanno certificato la debolezza dell’azienda che da essi dipende. Non la debolezza del corpo – giacché quello della Rai è tutt’ora possente rispetto agli altrui – ma la debolezza delle idee. Che non sorprende visto che a questo riguardo sono stati anni di paralisi, col cda che, anziché incoraggiare all’audacia strategica il direttore generale, ha piuttosto agito come kriptonite nei confronti dei suoi novelli superpoteri.
L’esito di tanto girare intorno ai problemi veri è che siamo a zero nella riforma dell’apparato informativo (quello delle Testate a coriandoli), ci accaloriamo attorno al fatturato della ditta Fazio, e ci ritroviamo, tanto per dirne una, con la domenica pomeriggio delle Kessler da pianerottolo. Per non dire del contratto di servizio, dove non riusciamo a celare l’impressione che la Rai abbia avuto la parte del somaro strattonato a uscire dalla stalla, e che quel tanto di solidità finanziaria (il canone in bolletta) e di progettualità volta al futuro (canale in inglese, rapporto con la produzione indipendente, spinta a riorganizzare canaletti e testatine) ce l’abbia messa il governo attuale, in continuità – va detto – con quello precedente. E dunque non è una Rai catatonica per caso quella che la butta in retorica e si appella (rigurgito di un Aristotele mal digerito) all’idea della «sede naturale», cui i mega confronti politici e chissà cos’altro dovrebbero affluire per natura – magari con l’aiuto di un comando istituzionale – e non per la capacità di attrarli. Come se Weinstein, che di certo non sembra Adone, si proponesse come sede naturale per ogni donzella dubbiosa.
C’è in Rai una componente che da sempre, anziché curare le proprie radici nel pubblico (costituite da credibilità dell’emittente e quantità degli spettatori) preferisce guadagnare la giornata, un giorno dopo l’altro, standosene appesa a norme di favore e chiacchiere altisonanti, ma prive di valore. Però, avendo scelto di starsene lì pendenti, non devono meravigliarsi che, visti da fuori, paiano una fila di salami appesi.