La decisione assunta ieri dal Gruppo di coordinamento per l’esercizio dei poteri speciali di Palazzo Chigi su Vivendi e Tim (i cosiddetti golden powers) è seria e importante. Sulla base dell’accertamento del controllo che Vivendi esercita su Tim e in base alla considerazione che la rete fissa di telecomunicazione è, nel suo insieme, un’infrastruttura strategica, ai sensi della legge 21 del 2012, il comitato ha prescritto a Vivendi e a Tim di sottoporre alla futura approvazione del governo e delle autorità competenti (Agcom e Antitrust) i piani e le decisioni rilevanti che si vorranno assumere in merito allo sviluppo e alla gestione della rete, agli investimenti, alle acquisizioni e dismissioni di asset, alla manutenzione, alle regole di accesso e alla garanzia della fornitura del servizio universale, nonché alle modalità organizzative strutturali funzionali al perseguimento di questi obiettivi. Una decisione documentata e ferma, seppur graduale, che intende ricondurre alla responsabilità del governo italiano la garanzia che tale infrastruttura strategica venga gestita e sviluppata da Tim, assicurando la «continuità del servizio universale», soddisfacendo «i bisogni di interesse generale nel medio e lungo termine», anche tenendo conto dell’«evoluzione tecnologica» e degli «standard prevalenti» a livello internazionale.
Al di là delle eventuali sanzioni che verranno comminate a Vivendi per la mancata notifica dell’avvenuta acquisizione del controllo su Tim, da oggi si avvia un percorso di dialogo serio e istituzionalmente vincolato tra azienda e governo, vigilato dalle Autorità, che dovrà assicurare uno sviluppo veloce e ordinato all’intero settore, da troppo tempo sottoposto a fibrillazioni che hanno fatto pagare un prezzo salato al paese in termini di ritardato sviluppo della banda larga, di asimmetrie di sviluppo territoriale e dispersione degli investimenti. È un percorso realistico che potrà condurre a risanare i tanti problemi industriali, legali e finanziari che si sono aperti intorno a queste vicende, ma sbaglierebbero i soci di Tim se non ne comprendessero appieno la portata.
Assumendo, forse in modo un po’ fortuito, il controllo di un’azienda del rilievo strategico di Tim, e poi la direzione e il coordinamento, Vivendi si è assunta una grande responsabilità verso il paese, la sua sicurezza, la sua infrastrutturazione tecnologica, il funzionamento del mercato, lo sviluppo dei servizi ai cittadini, l’innovazione del settore delle comunicazioni. Da ora in avanti, attraverso il percorso delineato ieri, i soci e il management dovranno dimostrare con continuità e coerenza di esserne all’altezza.
Le reazioni dell’azienda alla decisione di ieri sono, finalmente, incoraggianti. A questo punto è auspicabile che Tim presenti al governo e alle autorità competenti, come previsto dal decreto, un piano industriale e di riorganizzazione societaria coerente con le prescrizioni contenute nel decreto anche guardando alle migliori pratiche europee. A fronte della situazione che si era creata nel settore negli ultimi anni – dei conflitti, delle incertezze, delle molte criticità regolatorie incontrate da Tim – le istituzioni dovevano al paese questo momento di chiarezza e lo hanno ottenuto in tempi rapidi e con decisioni inoppugnabili. Di questo va riconosciuto il merito al presidente del Consiglio e al ministro Calenda. Tuttavia la vicenda non si esaurisce qui.
Come ho avuto modo di suggerire in un documento che è nato dalle discussioni sviluppatesi intorno alle proposte di Left Wing, è auspicabile che tale dialogo istituzionale trovi sbocco in una rigorosa separazione tra attività commerciali e servizi infrastrutturali in seno a Tim, come per esempio nell’esperienza del Regno Unito, assicurando con una governance appositamente disegnata – concordata con il regolatore – neutralità, separazione e facilità di accesso alla rete per gli operatori concorrenti. Sarebbe il modo migliore per rendere possibile, anche secondo le regole europee di concorrenza, l’unificazione su base volontaria, in una infrastruttura integrata, dei diversi segmenti di rete sviluppati in questi anni dagli operatori concorrenti, assicurando il miglior servizio a tutti gli operatori del mercato e agli utenti. Sarebbe il modo migliore, infine, per rendere più certe ed efficaci le diverse strategie di investimento, pubblico e privato, e di accelerare la transizione verso la connettività a banda ultra larga su tutto il territorio.
Per potenziare l’intensità dei piani di investimento e per assicurare maggiore imparzialità e stabilità a una simile evoluzione, che ha naturalmente dei tempi di realizzazione medio-lunghi, potrebbe essere decisivo sin d’ora un maggiore impegno di Cassa depositi e prestiti in questo settore. La Cassa, infatti, già meritoriamente impegnata nello sviluppo di Open Fiber, potrebbe rendere più credibile e spedito il percorso, anche affiancando in Tim un azionista, come Vivendi, basato all’estero, la cui vocazione industriale è nel settore dei media più che in quello delle telecomunicazioni. Una presenza minoritaria dello stato nei principali operatori telefonici c’è infatti in Germania e Francia, senza pregiudizio della concorrenza.
Per realizzare tali obiettivi, com’è ovvio, ancor prima di ipotizzare decisioni politiche risolutive, occorre che maturi una convergenza di intenti tra i diversi decisori politici, istituzionali, sindacali e industriali intorno a uno scenario che, a mio avviso, non solo è auspicabile per gli interessi del paese, ma potrebbe rivelarsi più efficace e conveniente anche per tutti gli attori coinvolti. Su questi temi, già in questo scorcio di legislatura, mi auguro che il confronto e il dialogo tra tutti gli attori coinvolti non si spenga, né venga sovrastato dal clamore della campagna elettorale.