Ieri sera tra gli ospiti di Piazzapulita è stato invitato un membro della famiglia Spada, Domenico, per parlare di Ostia e per confrontarsi con una giornalista – Federica Angeli – che da alcuni membri di quella famiglia ha subito intimidazioni e minacce, e da quattro anni vive sotto scorta a causa delle sue denunce. È stato surreale e inquietante.
Da una parte l’ospite che, come prevedibile, ha difeso la sua famiglia dalle accuse, e ha interpretato il ruolo che gli veniva assegnato. E così ha spiegato che il cugino – Roberto Spada, ora in carcere per l’aggressione alla troupe di Nemo – a Ostia fa solo del bene, che ha fatto una sciocchezza ma è stato provocato dal giornalista, che pure Sgarbi schiaffeggiò la Mussolini, e che anche all’inviato di Striscia avevano rotto il naso ma nessuno era stato arrestato. Dall’altra gli interlocutori in studio che sorridevano, forse increduli, per questi argomenti, rassicurati dalla solidità dei codici in gioco: i buoni seduti in studio, i cattivi in collegamento da una casa di Ostia. La situazione è diventata insostenibile quando Domenico Spada si è confrontato con Federica Angeli, accusandola in sostanza di essersi inventata intimidazioni e minacce. Da quel momento si è caduti nel precipizio dello sconcerto, nella migliore tradizione del “se tutto è mafia, allora niente lo è davvero”.
Questa scena si svolgeva in uno studio televisivo, come se fosse una cosa normale. L’intenzione di questo contraddittorio assurdo, probabilmente, era di invitare un membro di quella famiglia per incalzarlo sulle accuse – la violenza, le intimidazioni, le minacce – metterlo in difficoltà e lasciare che fossero le sue risposte a orientare il giudizio del pubblico. Il risultato è stato un confronto, un dibattito alla pari tra chi denuncia la stretta mafiosa su Ostia, e chi invece la nega. Così come la negano alcuni cittadini di Ostia intervistati, a eccezione dell’unica persona a cui viene assicurato l’anonimato.
Di questi tempi, con i giornalisti che vengono insultati alla manifestazione antimafia organizzata in solidarietà ai giornalisti aggrediti, in un luogo in cui governano assoggettamento e paura, e il senso di abbandono si trasforma in una dichiarazione di morte presunta delle istituzioni, penso che tutta questa fiducia nelle proprie capacità giornalistiche di disegnare i contorni di ciò che è bene e ciò che è male sia irresponsabile e pericolosa. I codici comunicativi che si è convinti di governare non esistono più, perché in una situazione come quella di Ostia l’esasperazione, la rabbia e la paura sono esattamente le ragioni per cui i gruppi criminali riescono a soggiogare un municipio, le ragioni che confondono quei codici, i buoni e i cattivi, nella polvere dei calcinacci e nelle fosse biologiche stracolme che nessuno ripara.