Anniversario

Il decimo anniversario del Partito democratico, la cui fondazione viene convenzionalmente fatta risalire alle primarie del 14 ottobre 2007, ha coinciso quest’anno con il centenario di un altro e più celebre ottobre rivoluzionario. Un centenario che ci ricorda quanto la politica sia effettivamente, come diceva qualcuno, storia in atto, e abbia dunque in sé il potere di cambiare il destino di miliardi di persone. Nel bene e nel male. A dieci anni dalla fondazione del Pd, dopo che anche l’ultima evoluzione del postcomunismo è definitivamente confluita in un partito dalla tradizione più larga, tanto da comprendere quella stessa Democrazia cristiana che del Pci fu la principale antagonista, dovrebbe essere finalmente possibile, anche per noi, una più serena riflessione sul legame tra l’esperienza del comunismo italiano e quel gigantesco e tragico sommovimento mondiale nato con la presa del Palazzo d’Inverno, il 7 novembre 1917.

Dopo gli anni della rimozione, quando ragioni di opportunità politica impedivano tanto di rivendicare quanto di rinnegare quel legame, sarebbe bello se venisse finalmente anche per la sinistra italiana il tempo di una elaborazione più matura, finalmente libera da ogni sospetto di strumentalità e opportunismo, senza inutili e vigliacche cacce alle streghe, per di più postume, ma al tempo stesso senza anacronistici riflessi difensivi. Abbandonando circonlocuzioni autoassolutorie, distinzioni causidiche e tutta quella chincaglieria di frasi fatte e stantii giochi di parole che con lingua di legno anche noi – noi che in questi anni abbiamo continuato a militare in una famiglia politica che della storia del Pci era e continuava a sentirsi erede – abbiamo utilizzato per raccontare sempre metà della storia, quella più bella e più nobile, quella più intensamente legata alla vicenda italiana, sorvolando o sminuendo di molto il peso dell’altra metà, quella legata a tutto ciò che nel frattempo accadeva nel resto del mondo.

Sarebbe bello se quel tempo – il tempo di una discussione libera e razionale, non strumentale e non ipocrita – venisse finalmente anche per noi. Ma non accadrà. L’uscita di scena del gruppo dirigente che aveva guidato la sinistra italiana, senza soluzioni di continuità, dalla fine del Pci alla nascita del Pd, poteva forse far pensare che il momento fosse propizio. Ma il modo in cui, pur di combattere Matteo Renzi e la nuova generazione oggi alla guida del Pd, quegli stessi dirigenti non hanno esitato a rinculare su posizioni, scelte, lessico e simboli da loro stessi superati alcuni decenni or sono ci dice purtroppo che i tempi non sono ancora maturi. E non solo loro. Per questa ragione, purtroppo, una più matura e più serena riflessione sulla storia della sinistra italiana è oggi più impossibile che mai, e qualunque tentativo finirebbe immediatamente stritolato nella stucchevole disputa tra gli ex coniugi del Pd. Se vogliamo evitare al busto di Antonio Gramsci la stessa sorte delle antiche porcellane della moglie o della preziosa auto d’epoca del marito nella guerra dei Roses, meglio dunque soprassedere.

Salvo su un punto, che riguarda tanto quella storia lunga, che affonda le sue prime radici nel 1917, quanto la storia più recente, e fortunatamente anche meno tragica, del Partito democratico. Che se effettivamente è nato al mondo dieci anni fa, con le primarie del 2007, ha avuto anch’esso una storia più lunga e più densa di come spesso si usa ricordare. La sua nascita è stata infatti il frutto di una dura battaglia politica, e certo non priva di contraddizioni. Basti dire che il primo a parlare del nuovo partito nella forma concreta in cui prese effettivamente consistenza – non cioè come generico partito-coalizione all’americana, che andasse dalla sinistra radicale al centro moderato, ma come partito della sinistra riformista, erede dei “diversi riformismi” di matrice laico-socialista, comunista e democristiana – fu Massimo D’Alema.

Il punto più alto di quello sforzo di rielaborazione e rinnovamento fu raggiunto a nostro avviso nel convegno di Orvieto dell’ottobre 2006. In quell’occasione fu chiesto a due storici di diversa formazione, Roberto Gualtieri per la tradizione postcomunista e Pietro Scoppola per la tradizione cattolico-democratica, di delineare il profilo politico-culturale del nuovo partito, a partire dalle diverse esperienze di cui raccoglieva il testimone. Il contrario esatto, per farla breve, di quell’approccio nuovista e antistorico che pure, negli anni seguenti, avrebbe non di rado prevalso, in nome di un americanismo superficiale e assai poco innovativo. Oggi crediamo sia venuto il momento di riprendere il filo di quella riflessione, nello spirito con cui era stata avviata a Orvieto, egualmente lontani dalla furia iconoclasta dei futuristi come dalla sterile nostalgia dei passatisti.

Per aiutarci in questo cammino abbiamo chiesto a diverse personalità della cultura progressista di provare a immaginare con noi – ciascuno dal suo diverso punto di vista – i prossimi dieci anni del Partito democratico, della sinistra e dell’Italia. Abbiamo voluto offrire così un quadro il più possibile plurale, non esente dalle contraddizioni che con ogni evidenza caratterizzano la fase che stiamo attraversando, perché ora più che mai riteniamo ci sia bisogno anzitutto di allargare la base della discussione, coinvolgere e ridestare forze e sensibilità diverse. Abbiamo voluto puntare in alto, chiamando storici, filosofi e filosofi della politica a misurarsi con il lungo periodo, perché crediamo sia l’unico modo possibile, oggi, per non sprofondare subito nella palude dei rancori e delle ripicche, nella politica della pernacchia e del pettegolezzo.

Accanto a questo quadro più ampio, che cerca di riconnettere la visione dei prossimi dieci anni all’esperienza del decennio appena concluso, abbiamo voluto il contributo di quella nuova generazione di politici e intellettuali che in questi anni ha già cominciato a misurarsi con la sfida del rinnovamento dell’Italia. Una sfida che non è separabile dalla battaglia per l’affermazione dell’Italia in un’Europa chiamata a sua volta a cambiare, perché solo un’Italia che si dimostri capace di rinnovarsi può avere la forza di contribuire a cambiare l’Europa. Lo abbiamo visto bene nel passaggio dalla stagione dei governi tecnici o semi-tecnici al governo Renzi, dalle leggi Fornero agli ottanta euro, dalla retorica dell’austerità alla battaglia per la flessibilità e gli investimenti. I risultati conseguiti in questi anni di governo del Partito democratico sono lì a dimostrarlo, e indicano la strada per il futuro.

 


Presentazione del numero speciale di Left Wing dedicato ai dieci anni del Partito democratico