Sento da più parti considerazioni contrarie al taglio del limite del contratto a tempo determinato da 36 a 24 mesi. Alcuni sono decisamente contrari, perché di questa flessibilità eccessiva usufruiscono in maniera larga e proficua. È il caso di Confindustria, della cui contrarietà non ci stupiamo. Altri invece, pur con profili diversi, lamentano che questo taglio causerebbe addirittura un aumento della precarietà, perché toglierebbe a molti lavoratori la possibilità di lavorare tre anni di seguito.
I dati ci dicono che questa considerazione è fuori dalla realtà. La durata media dei contratti a termine è inferiore ai sei mesi, e le proroghe vengono utilizzate per tenere i lavoratori nel limbo all’infinito (anche di queste stiamo discutendo). Non è l’anticamera del tempo indeterminato che avevamo immaginato, ma un labirinto dal quale non si riesce a uscire. Nel tempo dell’immediatezza e della necessità imprenditoriale di far seguire azioni istantanee ad ogni oscillazione del mercato, credere che si possa fare a meno della programmazione o che si possa gestire la forza lavoro sempre e solo come un margine, e sempre nella disponibilità del datore, è un errore che le imprese più lungimiranti hanno già imparato a non commettere.
Se 24 mesi non sono sufficienti a decidere la stabilizzazione di un lavoratore o la cessazione del suo rapporto, non è certo il mercato ad essere incerto: significa che si vuole evitare di fare delle scelte. E in un contesto nel quale le aziende hanno già a disposizione il lavoro intermittente e il lavoro somministrato per rispondere alle esigenze periodiche e stagionali, non possiamo tenere in campo un terzo strumento così flessibile. Le conseguenze sono chiare: solo un quinto dei nuovi contratti nel 2017 è stabile, comprendendo sia tutele crescenti che apprendistato. La decontribuzione per i giovani contenuta in legge di bilancio cambierà questo rapporto, ma ridefinire le regole del gioco serve a tutti coloro che saranno esclusi da quella misura.
Sono le tutele crescenti il pilastro del Jobs Act, e la loro struttura ci ricorda che le abbiamo costruite proprio per i rapporti di lavoro superiori a due anni. Renderle centrali nel mercato del lavoro italiano, restringendo il campo del tempo determinato, sarebbe un corollario importante alla grande riforma del lavoro di questa legislatura.