Sul Corriere della sera di oggi Paolo Mieli traccia l’impietoso ritratto di un’intellighenzia di sinistra folgorata dal grillismo sulla via di Palazzo Chigi. Giusto quelli, sia detto per inciso, che l’elettore cinquestelle medio definirebbe, e non sempre a torto, radical chic. Il florilegio di dichiarazioni è indubbiamente significativo per quantità e (si fa per dire) qualità, tanto da spingere l’ex direttore del Corriere a parlare di un fenomeno unico in Europa, e forse nel mondo, di fronte a una tale caterva di filosofi, registi e scrittori che a nemmeno due minuti dal voto si butta a corpo morto tra le braccia del vincitore. Chi già autonominandosi ministro, chi promuovendo se stesso o i suoi più prossimi amici per la poltrona di Palazzo Chigi, chi non mancando di infierire sugli sconfitti con assurdi ultimatum e ancor più surreali invettive (primo premio all’illustre politologo secondo il quale il Pd, dicendo di voler andare all’opposizione, sarebbe ormai precipitato nell’«eversione»). Sarebbe però un errore considerare questo increscioso spettacolo, che Mieli eufemisticamente paragona a una gigantesca «gaffe collettiva», come un fenomeno tipico solo degli intellettuali di sinistra, o degli intellettuali tout court. Basta infatti girare qualche pagina e sulla stessa edizione del Corriere della sera si troverà un’illuminante intervista a Giuseppe De Mita, già due volte sindaco di Nusco, e ovviamente nipote di Ciriaco. «Vengo dalla Dc – dichiara con fierezza – ma ho visto con molta simpatia la vittoria dei cinquestelle. L’avevo prevista. In Irpinia è andato in frantumi un sistema di potere che dominava da decenni». A questo punto, credendo forse di aver capito male, il giornalista non può fare a meno di domandare: «Il potere demitiano?». La ferma risposta di Giuseppe De Mita non lascia però adito a dubbi: «Sì. Ma io sono un’altra cosa, vengo da trent’anni di esilio politico». Ecco qua. Come si vede, al termine del regime renziano, dopo anni di clandestinità e di esilio forzato, sono molti i rifugiati ansiosi di tornare in patria per dare man forte alla rivoluzione grillina, costi quel che costi. Ci auguriamo solo che i nuovi vincitori sappiano valorizzare ciascuno di tali Conti di Montecristo come merita, o almeno rimborsargli il viaggio. A spese loro, però.