È un periodo difficile per gli elettori della sinistra, e specialmente per quelli che, come me, hanno cominciato a interessarsi di politica all’inizio degli anni Novanta. C’è poco da fare: avere avuto quindici anni allora, in un partito che era stato per quarant’anni all’opposizione e solo in quel momento cominciava a intravedere una via d’uscita, comporta un imprinting. Significa avere ascoltato e ripetuto fino allo sfinimento, sin dal primo giorno della propria militanza, un lungo catechismo che cominciava sempre con l’imperativo di non chiudersi in una ridotta minoritaria, proseguiva con l’ammonimento a non cedere a un infantilismo estremista (una delle poche citazioni di Lenin che avrebbero avuto ancora corso per qualche tempo) e si concludeva invariabilmente con la necessità di assumersi le proprie responsabilità per misurarsi con la sfida del governo (o anche di assumere la responsabilità del governo per misurarsi con le sfide del proprio tempo, secondo i gusti). Il punto di partenza – e spesso anche di arrivo – di ogni discorso sul futuro era sempre quello… continua a leggere