Una maggioranza in questo paese esiste già. È una maggioranza ecumenica prima che politica: come la grande chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa. È una maggioranza formata da tutti quelli che pensano che legalità significhi autoritarismo, che i diritti e le garanzie siano un ostacolo e che per sconfiggere il crimine serva aumentare le pene, i poteri di polizia, riempire le carceri. È composta da quelli che si sono spellati le mani a una convention (di partito? aziendale? ma questo è un altro problema) per l’intervento di un pubblico ministero in attività, impegnato in uno dei processi più incredibili della recente storia italiana, che proponeva di aumentare le intercettazioni, le pene, il controllo, e che applaudono ogni volta che si promette il pugno duro in nome di uno stato dal retrogusto poliziesco. È una maggioranza solida, stabile, contraria a ogni beneficio penitenziario per i detenuti e alla funzione rieducativa della pena (e quindi alla Costituzione), indifferente alla separazione dei poteri (e quindi alla Costituzione), ostile alla libertà del mandato parlamentare (e quindi alla Costituzione), che inneggia ogni giorno a una Costituzione scritta dai partiti antifascisti ma ha un’idea dello stato assai più simile a quella del regime precedente. In politica si possono trovare compromessi con qualsiasi maggioranza politica, su temi economici, politica estera o questioni sociali. Ma scendere a compromessi sulla stessa idea di stato di diritto e democrazia rappresentativa può essere molto pericoloso.