L’attuale governo nasce dall’incontro fra una cosa antica, la Vandea della Nazione, e un fenomeno recente ancora da decifrare, i cinquestelle.
Una sua Vandea non c’è Paese che non l’abbia. Quella italiana nel dopoguerra è stata contenuta dalla forza della chiesa cattolica e dai vincoli internazionali, sicché se ne stava immersa e ammansita nella Dc. Con l’affievolirsi dell’egemonia cattolica, a partire dagli anni sessanta, e lo sgretolamento, negli anni ottanta, del Muro di Berlino, quella Vandea ha riconquistato bandiera e proscenio co-fondando il centrodestra di Silvio Berlusconi e, con Salvini, arrivando a dominarlo. Una Vandea dalle lunghe radici, fondata (pensiamo al Veneto) sugli avi contadini che sgobbavano sui campi e ne difendevano il frutto contro azzeccagarbugli, esattori, sinistrorsi e, diremmo oggi, élite.
A ingrossare i voti dei cinquestelle, altro che radici secolari, contribuisce un’ondata congiunturale (protesta, disperazione, rabbia, mimetizzazione di navigati affaristi) ma, da vecchi lettori di Marx, ci domandiamo se esista un gruppo, un tipo sociologico che per interessi e conseguente cultura possa definirsi il nerbo del Movimento della Legittimità/Onestà, così come gli operai lo furono per il socialismo della Giustizia/Uguaglianza. A noi pare che quel tipo sociologico emerga dal vasto e crescente mondo degli informatici, degli ottimizzatori di organizzazioni, dei creatori di procedure. Di quelli, parlandone molto in generale, che traggono gratificazione professionale dal dominio della norma rispetto all’aumma aumma. Sono professioni in crescita, e così l’amore giacobino per la regola generale da somma di casi individuali è divenuto atteggiamento di massa con basi strutturali, riuscendo a reclutare, senza identificarvisi, anche il moralismo d’accatto.
Si tratta, e non sarebbe una novità, di un ceto “rigorista”, salvo che se un tempo qualsiasi rigorismo si impastava in una visione della Storia (chiamala se vuoi ideologia) oggi si bada al “fatto” (non per caso questo è il nome del giornale d’area del Movimento) per verificarne la conformità rispetto alla regola, senza perdersi in sottigliezze relativistiche. La struttura dei contributi di Travaglio ne costituisce una testimonianza di ottima fattura. Da qui, pensiamo, la radicale e istintiva idiosincrasia nei confronti della sinistra storica e della liberaldemocrazia, che sono progettuali per essenza e che hanno imparato a relativizzare il senso politico dei fatti secondo tempo, modo, luogo e circostanze sociali. E non per caso, sondaggi alla mano, i cinquestelle parrebbero ritrovarsi più facilmente con l’immediatismo leghista e molto meno con quel tanto di fascio-ideologia che resiste fra gli eredi del Movimento sociale.
Se dunque esiste un tale nucleo del M5S, come conviene che socialisti e liberaldemocratici ci si rapportino? Sono in grado di metabolizzarne le visioni e illusioni? Possono provarci senza buttare a mare pezzi fondamentali della loro cultura politica e di quel che resta della loro organizzazione? Un passaggio molto stretto, ma forse obbligato per allungare la palla e pedalare sfuggendo alle angustie della campagna elettorale permanente imposta dal cosiddetto “populismo”.