Considerare le organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo alla stregua di trafficanti di esseri umani è una follia. Pensare che, eliminando le navi delle Ong, i viaggi verso l’Europa si fermeranno è un’illusione. Nonostante la loro evidente infondatezza, queste posizioni sono percolate dagli angoli remoti delle teorie complottiste, dove si straparla di piano Kalergi e sostituzione etnica, alle trasmissioni di prima serata e, ancora peggio, al governo del paese.
Nella settimana in cui le navi delle Ong non hanno effettuato salvataggi in mare, a causa dell’incidente della Aquarius e della politica adottata dal nostro governo, sono state recuperate circa duemila persone provenienti dal Nord Africa da parte di navi militari, mezzi della Guardia costiera italiana, mercantili. Perché la ragione della presenza delle Ong in quel tratto del Mediterraneo è soltanto salvare esseri umani. I barconi partono verso i confini dell’Europa per attraversare la frontiera a qualunque costo, con qualunque rischio, e se non ci sono navi delle Ong saranno altre navi a salvare la vita di chi è stato abbandonato in mare.
La vicenda dell’Aquarius è stata raccontata come una pragmatica iniziativa politica del governo italiano, mentre quel pragmatismo altro non era che una violazione del diritto internazionale, a cui un altro paese – la Spagna – ha risposto pensando prima di tutto ad assicurare la salvezza di centinaia di persone. Il fatto che la questione dei salvataggi in mare e dell’accoglienza delle navi sia oggi all’ordine del giorno non rende più accettabile il modo in cui la questione è stata posta, tenendo quelle persone in ostaggio.
Una delle scorie più pericolose del caso Aquarius, però, è la guerra – mediatica, politica – nei confronti delle Organizzazioni non governative. È passato poco più di un anno da quando Luigi Di Maio usò l’espressione «taxi del mare», l’opinione pubblica sembra averla interiorizzata e la politica denigratoria generata da quell’espressione ha trovato continuità: le Ong sono diventate un capro espiatorio per nascondere le fallimentari politiche europee sull’immigrazione e sulla gestione di migrazione e accoglienza. «Le Ong alimentano il traffico di esseri umani», ha ribadito Vito Crimi da sottosegretario alla presidenza del Consiglio, non più da semplice parlamentare: se qualcuno avesse ancora dubbi sulla perfetta consonanza di vedute tra Lega e Movimento 5 Stelle, può toglierseli.
Confondere il soccorso umanitario con il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è una mistificazione: le inchieste giudiziarie non hanno raggiunto alcuna prova di un concorso delle Ong nel traffico di esseri umani (perché è bene ricordare che i migranti sono le vittime del traffico) e la tesi che le loro navi siano un pull factor, un fattore di attrazione, è stata ampiamente smentita. Non si rimuovono le Ong da quella zona di mare perché favoriscono l’immigrazione clandestina – la teoria è smentita anche in questi giorni, ripetiamo, dal numero di salvataggi operati da Guardia costiera e navi mercantili, a cui dovrebbe essere mossa la stessa accusa – ma per rimuovere testimoni da una zona in cui può accadere di tutto. Il ruolo delle Ong è salvare vite, come ne hanno salvate decine di migliaia in questi anni, ma anche garantire il rispetto dei diritti umani, anche quando questo le mette in contrasto con i governi.
La campagna denigratoria contro le Ong viene da lontano, non è figlia della situazione di emergenza, e trova analogie inquietanti proprio in alcuni dei paesi con cui il governo italiano vorrebbe formare un rinnovato asse politico: la Russia e i paesi del gruppo Visergrad, come l’Ungheria di Viktor Orban. La guerra alle Ong in Russia è partita nel 2012, con una legge apparentemente innocua, che intendeva regolare le attività delle organizzazioni non commerciali che ricevevano finanziamenti esteri, ma che ha avuto conseguenze devastanti per le Ong che lavoravano in Russia e denunciavano violazioni dei diritti umani e dello stato di diritto. Secondo la legge, ogni Ong registrata in Russia che riceve fondi esteri deve essere classificata come «agente straniero» nel caso in cui svolga «attività politica», e deve essere inserita in un registro di «agenti stranieri» amministrato dal ministero della Giustizia.
Dal 2012 numerose organizzazioni non governative – da quelle che si battono per i diritti dei detenuti a quelle ambientali o che si occupano di violenze sulle donne – sono state etichettate come agenti stranieri: alcune sono state multate pesantemente, altre ancora hanno dovuto chiudere perché hanno rifiutato quella qualifica. La legge ha reso difficile anche il finanziamento interno, alimentando sfiducia e sospetti e raggiungendo l’obiettivo di neutralizzare le Ong più fastidiose.
Ben presto la campagna contro le organizzazioni non governative ha superato i confini russi e si è propagata in Europa. L’Ungheria è in guerra dichiarata contro le Ong e i suoi finanziatori (uno su tutti, George Soros e la sua Open Society Foundation), e nel giugno 2017 ha adottato una legge simile a quella russa sulla trasparenza dei finanziamenti, che impone alle Ong di dichiarare i finanziamenti stranieri oltre una certa soglia sui rispettivi siti web e nelle loro pubblicazioni, rischiando sanzioni pesantissime in caso contrario. Anche in questo caso la legge è una norma capestro, che dietro a esigenze di trasparenza nasconde uno strumento per indicare all’opinione pubblica le Ong come «agenti stranieri» in contrasto con gli interessi nazionali, privandole di autorevolezza e sradicando qualsiasi opposizione dalla società civile. Il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, ha manifestato tutta la sua preoccupazione per le proposte di legge anti-Ong avanzate dal governo Orban, il cosiddetto pacchetto «Stop Soros» («Se approvato dal parlamento introdurrà ulteriori restrizioni arbitrarie all’indispensabile lavoro delle Ong e dei difensori dei diritti umani in Ungheria»).
La stessa tendenza anti-Ong si è manifestata in Polonia, dove è stata approvata una legge che centralizza la gestione e il controllo dei fondi, inclusi quelli dell’Unione europea che sono la più grande fonte di finanziamento delle Ong in Europa centrale e orientale. La guerra alle Ong, insomma, potrebbe non essere solo la reazione scomposta a una situazione eccezionale, con l’individuazione di un capro espiatorio. In queste prime settimane non sono mancati ammiccamenti del governo italiano al gruppo di Visegrad. Si faccia attenzione perché la guerra alle Ong potrebbe essere un altro passo verso quel modello.