La Tv dei Ragazzi, ovvero Propaganda Live, raro esempio di programma dai protagonisti rigorosamente maschi anche se non (forse) maschilisti, è il successo di stagione. È partita in autunno con mezzo milione di spettatori e ha terminato ben oltre il doppio, in parte trascinando gli affezionati del fu Gazebo di Rai Tre, in parte disputandosi i telecomandi con Crozza, in molta parte convincendo gli ultra cinquantenni che stanno più a lungo la sera davanti alla tv e dunque pesano maggiormente nelle sorti statistiche dell’audience. Al buon esito dell’impresa hanno contribuito, a parere nostro, due fattori: la scrittura e le elezioni.
La scrittura ha progressivamente dismesso i narcisismi dell’esordio, dove loro ridevano molto, e noi a casa molto meno, e ha trovato infine un equilibrio efficace fondato sugli scambi di palla fra Zoro e Makkox, emerso come il potente deuteragonista. Una volta consolidata la struttura di relazione principale è stato più agevole mettere nello spartito gli altri personaggi (Celata, Schianchi, quello con la barbona rossa, Damilano, etc).
E poi le elezioni. La campagna elettorale e il prolungato dopo elezioni sono arrivati al momento giusto, quando la struttura del programma era abbastanza consolidata per sfruttare appieno l’onda dell’audience di cui hanno goduto tutti i programmi di La7, la rete fa evasione con la politica anziché fuggendone. Tuttavia va segnalato che il salto di scala dell’audience di Propaganda Live è stato anche maggiore di quello dei talk show della rete. A conferma che al beneficio congiunturale si è aggiunto un miglioramento strutturale. A naso diremmo che la stagione prossima di Propaganda, che inizierà, supponiamo, dalla fine di settembre, potrà aggregare altri ascoltatori perché le ultime elezioni hanno portato al governo i Trump nostrani, e con essi la mobilitazione permanente dell’elettorato con sparate quotidiane (i censimenti possibili sono molti, basta pensare a quante cose ci stanno veramente, ma veramente sul c…o, non solo i disperati e i raccomandati). Tutto carburante per la fioritura della satira e del giornalismo d’inchiesta (il New York Times scoppia di salute). In più, con un’opposizione in cerca d’autore, è probabile che i laboratori linguistici della tv si trovino investiti da una sorta di funzione vicaria nella elaborazione di identità elettorali alternative.
Tutti fattori che portano acqua al mulino di La7. Aggiungiamo l’indebolimento politico del duopolio Rai-Mediaset formato negli anni ottanta per schiacciare sul nascere i ricavi della concorrenza. Finora gli è riuscito benissimo. Che possa, semplicemente, prolungarsi ci pare incredibile. Sappiamo anche che nessuno è veramente pronto – per cultura, know how e interessi – a gestirne il superamento. Ma la speranza, parlando di Rai, è l’ultima degli zombie.