Se uscendo dalla stazione Termini imboccate via Marsala e la percorrete fino in fondo, vi trovate a San Lorenzo, il quartiere di cui tutti parlano da qualche giorno, perché qui, in una strada sgraziata e sporca, all’interno di uno dei tanti rottami urbani che punteggiano Roma, una ragazzina è morta dopo essere stata violentata. Una storia spaventosa che fa male, che sarebbe potuta accadere altrove e che, invece, è accaduta proprio qui.
Ci vuole poco, in queste circostanze, perché un luogo diventi uno stereotipo, soprattutto se chi ne parla in televisione, sui giornali e anche sulla rete, lo fa basandosi sul sentito dire, su qualche vecchio ricordo universitario, sulla scorta dell’esperienza maturata nel corso di una cena in una serata estiva. E quindi ho sentito parlare di San Lorenzo come del centro della movida romana, come di un quartiere popolare o, in alternativa, come di un quartiere universitario che accoglierebbe residenze universitarie, come di un quartiere pieno di centri sociali e invaso da non meglio identificati gruppi politici, o – addirittura – come di un quartiere creativo. Tutte cose che probabilmente San Lorenzo è stato, e che, tuttavia, non è più.
San Lorenzo, ed è evidente se ci si sofferma per un tempo più lungo di quello necessario a mandare giù un paio di birre o una pizza, è un quartiere smarrito e trasandato, abbandonato anche dai gentrificatori dei primi anni duemila che si sono spostati verso lidi più seducenti. Ma l’onda anomala della gentrificazione che ha colpito il quartiere una ventina d’anni fa – per poi proseguire verso il Pigneto – ha fatto in tempo a devastare un antico tessuto sociale fatto di negozi di vicinato, luoghi di incontro, attività artigianali, sedi di partito, palestre popolari, associazioni di volontariato, collettivi politici, l’Esercito della Salvezza, il cinema Palazzo (poi trasformato in sala da biliardo) e il campo di calcio dei Cavalieri di Colombo, e trattorie, studi di artisti, qualche ristorante, qualche pizzeria e uno storico pub. In pochi anni, la trasformazione disordinata e cialtrona di quel quartiere popolare in quartiere della movida ha fatto impennare i prezzi delle case espellendo molte delle vecchie famiglie e anche gli studenti universitari, sfollati nelle nuove periferie e sostituiti da giovani coppie, creativi, professionisti disposti a vivere in appartamenti piccoli, spesso scomodi, ma di tendenza.
I piccoli negozi e gli artigiani hanno ceduto sotto la pressione di affitti sempre più alti (o di offerte di acquisto che non si potevano rifiutare) a locali aperti solo la sera e a qualche negozio alla moda. Ma il peggio, forse, è arrivato con la risacca dell’onda anomala. Il combinato disposto della crisi economica che ha causato la chiusura di molti locali, del logorio e del successivo disfacimento che ha colpito il quartiere (troppo rumoroso, troppo percorso e troppo poco accudito) e della nascita di nuove attrazioni notturne urbane ha portato a un vero e proprio declassamento. Senza più i vecchi negozi e senza i nuovi locali, senza i vecchi sanlorenzini e senza i fighetti, senza i collettivi politici che hanno subito trasformazioni antropologiche quando non genetiche, con le associazioni di volontariato sotto rischio di sfratto o di sgombero, senza luoghi dedicati alla cultura o, almeno, all’intrattenimento, San Lorenzo si è perduto. In una ventina d’anni ha cambiato pelle almeno tre volte e oggi si trova a gestire un’identità incerta e debilitata. In questo vuoto emergono le macerie, quelle antiche dei bombardamenti di settantacinque anni fa che non sono mai state completamente rimosse ma anche quelle più recenti di luoghi abbandonati in attesa che venissero tempi migliori per la speculazione e che spesso diventano col passare degli anni, e senza che proprietari, forze dell’ordine o amministrazione comunale intervengano davvero, buchi neri, vere e proprie zone franche.
Non saranno ordine e sicurezza a far riemergere San Lorenzo dal degrado, non sarà vietare la somministrazione di alcolici dopo le 21 a far rinascere il quartiere. Perché il degrado, come certe piante infestanti, cresce negli interstizi e si insinua nelle crepe. Si devono curare proprio quelle crepe, si deve riportare la luce nei luoghi (non solo in senso figurato) e si devono riportare gli abitanti nelle case e i negozi nelle strade. Perché San Lorenzo, come tanta parte di Roma, da anni è divorato dal degrado e dall’abbandono e dalla mancanza di governo dei fenomeni umani e dall’assenza di progetto. San Lorenzo non deve diventare uno stereotipo. San Lorenzo è il sintomo di una città profondamente malata che, per guarire, più che di militarizzazione, ha bisogno di urbanisti, di cittadini, di spazi pubblici accessibili anche dopo le 20, di politiche urbane, di qualità architettonica, di innovazione e di utopia.