Conosciamo persone (il barista, lo studente, il fruttivendolo) di pessimo umore per tasse, affitti, lavori ingrati, lavori mancanti, lavori vagheggiati, ma inafferrabili. Carlo Calenda nel suo libro (Orizzonti Selvaggi, Feltrinelli) ne spiega la ragione di fondo: lo sviluppo dei Paesi ex poveri che ha sottratto/sconvolto molti mestieri e molte certezze del ceto medio di casa nostra. È vero che per un lavoro (e un cliente) che perdi oggi un altro ne sorgerà l’indomani. Ma fra l’oggi e il domani c’è, per l’appunto, la nottata del malessere, l’incubo del cadere all’indietro, di avere perso insieme con il presente anche il futuro.
I talk show mettono in scena quest’ansia e il sovran-populismo ne è il termometro. Mentre per la cura servono i rimedi. Quello di base, secondo Calenda, è la «sovranità», indispensabile per graduare l’impatto della globalizzazione e, insieme, iniettare nella società una massiccia misura di aiuti economici (per sopravvivere) e di processi formativi (per i lavori di domani). Lo dicono, tutto sommato, anche le forze gialle e verdi. Farlo è tutt’altra questione, che richiede un mare di risorse per: 1) ridurre debito e spread, altrimenti addio sogni di sovranità; 2) finanziare persone e aziende spiazzate dal cambiamento; 3) realizzare infrastrutture di qualità per attirare capitali – e dunque lavoro – dall’estero; 4) gestire il problema Africa, emigrazione compresa. Le risorse, tralasciando un mare di fonti minori, stanno oggi in due tasche: quelle degli evasori globali, a cominciare dai colossi del web; quelle degli evasori nostrani.
I primi li sta affrontando l’Unione europea, che ha la stazza per riuscirci. A quelli di casa dobbiamo pensarci noi, ma qui ci casca l’asino perché attaccare evasione e nero significa (papà Di Maio insegna) non stanare alcuni malandrini, ma cambiare in profondità intere zone e strati del Paese. Peraltro oggi non ci sono più alibi, perché ormai tra sostituzione del contante e fatturazioni elettroniche, l’evasore lo prendi e il nero lo sbianchi. Sempre che tu lo voglia, al fine di diventare un Paese di serie A. Altrimenti ti accontenti dei talk show e delle Iene di turno, mentre al governo si alternano gli scialacquatori e i morigerati, come da venti anni a questa parte.
A cosa si candidano i candidati alla segreteria del Pd? A riproporsi per il loro turno di morigerati o a giocare duro per il cambiamento strutturale dei connotati del governare? In breve: chi se la sente di contrapporre “sovranità e popolo” alla coppia “sovranismo e populismo” che attualmente ne fa le veci? Tanto per sapere se coltivare la speranza o affidarsi alla solita Rassegnazione, l’ultima dea (lei sì) a lasciare la terra. Dei cachi.