Nel comunicato stampa firmato ieri il procuratore della Repubblica di Torino non si limita a rimproverare al ministro dell’Interno di avere diffuso la notizia di un’operazione ancora in corso, mettendone a rischio l’esito. Armando Spataro dà al ministro anche una lezione di elementi minimi di stato di diritto. In un passaggio del comunicato di cui forse è sfuggita qualche sfumatura, il procuratore si rivolge al ministro come un professore si rivolgerebbe a uno studente di procedura penale all’oscuro di tutto: la polizia giudiziaria non ha fermato «15 mafiosi nigeriani», ma «sta eseguendo un’ordinanza cautelare emessa su richiesta della Dda di questo Ufficio, dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Torino». E non tutti gli indagati sono imputati per l’articolo 416 bis del codice penale (l’associazione di tipo mafioso), quindi non sono tutti «mafiosi» (semmai, potranno essere definiti «mafiosi» dopo una sentenza passata in giudicato). Forza, si riprenda il libretto e torni al prossimo appello, quando avrà imparato a usare una terminologia appropriata.
Tra le ragioni che hanno spinto la procura di Torino ad assumere un’iniziativa così dirompente ce n’è una che dovrebbe sollevare la stessa quota di indignazione che hanno sollevato i possibili danni all’indagine: la diffusione della notizia da parte del ministro, in quei termini, ha violato anche un principio dimenticato, secondo cui l’interesse pubblico alla notizia e alla diffusione di informazioni su operazioni di polizia incontra un limite insuperabile nel rispetto dei diritti e delle garanzie degli indagati per qualsiasi reato. Prima tra tutte la presunzione di non colpevolezza.
In fondo, anche nelle reazioni a questa vicenda – istituzionali, politiche, giornalistiche – si può misurare il dualismo costante tra sicurezza e diritti, e l’istinto insopprimibile a preferire la prima ai secondi. Ecco perché, mentre la prima lezione, quella sulla salvaguardia delle indagini, sarà senza dubbio preziosa per il ministro degli Interni, e lo indurrà magari a occuparsi con maggiore cautela di operazioni in corso, la seconda lezione sul rispetto di diritti e garanzie minime di indagati e arrestati «per qualsiasi reato» deve servire a tutti, e sarebbe bene che tutti se la scrivessero sulla mano, per ricordarsene anche la prossima volta, quando non sarà un tweet del ministro degli Interni a sollevare un caso.