Comincia a prendere corpo nelle chiacchiere e sui giornali (da ultimo oggi Franco Arminio sul Corriere della Sera) una sorta di lamentazione sulla depressione che, con epicentro al sud, infuria sulla penisola. Non di meteo si tratta, ma di anime, le nostre, che sarebbero piombate in un cronico “sentirsi giù” che paralizza l’azione, dilata le attese, avvolge il nulla col nulla. Così uno, anziché anticipare i francesi nell’indossare il gilet da battaglia, si lascia andare alla sonnolenza pomeridiana, all’account che surroga il sociale, al voto a dispetto, più che disperato.
Sono analisi nel contempo esatte e diversive. Esatte perché anche noi leggiamo la cupezza nelle facce di tanti, compresi gli studenti con i quali passiamo qualche ora conversando e insegnando (scambievolmente). Diversive perché radunano gli effetti senza convocare le cause. Che sono peraltro chiarissime: l’Italia è depressa perché mentre il mondo avanza noi restiamo indietro. E le ragioni della progressiva arretratezza (manifesta anche negli scappati da casa per cui ci siamo ridotti – non solo ultimamente – a votare) sono le stesse che ci tengono calmi: il lavoro nero, l’evasione fiscale di massa, i frati ricchi e il convento (lo Stato) povero. Abbiamo fissato nel dopoguerra un modello di sopravvivenza senza futuro, e ne siamo i depressi prigionieri perché non se ne vede la via d’uscita. Per questo teniamo i gilet ben piegati nel cofano, qualcuno (circa un settimo) si pompa coi talk show, i cinque settimi pensano a scavarsi, per gli affarucci loro, una nicchia che è anche una fossa.
Se ci fossero poteri forti, contro di essi forse sfodereremmo il gilet in piazza. Ma noi, dal fondo della nostra depressione, abbiamo capito che qui non esistono poteri forti, ma solo poteri conniventi. Con noi stessi. Ecco perché nel momento di massima crisi della politica e dei partiti ci troviamo a dover constatare che solo la politica, cioè una convergente azione collettiva, può tirarci fuori dalla depressione dell’economia e delle anime. Al modo di Münchhausen che si sollevava tirandosi per i capelli. Francamente non è facile immaginare che avvenga. È anzi probabile che la inane depressione dell’oggi evolva, con lo scoppio della bolla populista, ancor più verso vittimismo e mania di persecuzione. A meno che un immane investimento di risorse sottratto agli ammortizzatori attuali (nero ed evasione, dei grandi e dei piccoli) non consenta di arricchire il convento e vincere la quinta guerra di indipendenza. Quella contro i frati, cioè noi stessi. Vasto programma, che da De Gaulle in poi è sinonimo di impossibile. Se non fosse che a volte scopri che l’impossibile, zitto zitto, è divenuto il minimo necessario.