La settimana scorsa il direttore delle Gallerie degli Uffizi, il tedesco Heike Schimdt, ha esposto nella Sala dei Putti di Palazzo Pitti una riproduzione in bianco e nero del celebre Vaso di fiori del pittore olandese Jan van Huysum, trafugato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. La copia del dipinto è corredata da cartelli con la scritta «rubato» in tre lingue, italiano, inglese e tedesco, e da una didascalia che ricorda che a sottrarla al museo furono i soldati della Wehrmacht nel 1944 e che ora si trova in una collezione privata tedesca. Il direttore degli Uffizi chiede che il governo tedesco si adoperi per la restituzione del quadro – che è attualmente detenuto in una collezione privata, non in un museo pubblico – abolendo la prescrizione per i furti di opere d’arte.
Sulla vicenda è intervenuto il sottosegretario ai Beni culturali, la leghista Lucia Borgonzoni, che ha prontamente dichiarato di voler sospendere i prestiti di opere d’arte ai musei di quei paesi detentori di beni culturali di cui l’Italia rivendica la paternità. Quanto efficace possa essere questa esibizione di muscoli è difficile valutarlo ora. Certo è che l’Italia avrebbe tutto l’interesse a coinvolgere il governo tedesco portandolo dalla propria parte e facendone un alleato nella sacrosanta battaglia per il recupero delle opere d’arte trafugate, piuttosto che minacciare di interrompere ogni collaborazione culturale con i suoi musei se la Germania non abolisce la prescrizione per i furti commessi 75 anni fa. A questo proposito, vale forse la pena raccontare la singolare storia della restituzione all’Italia, avvenuta pochi anni fa, di un rilievo romano finito illegalmente in Germania al termine della seconda guerra mondiale. Restituzione ottenuta con un iter e un atteggiamento opposti rispetto a quelli che sembra aver scelto oggi il governo italiano.
La storia è questa. Nel 1964 a Tor Cervara, una zona della periferia est di Roma lungo la via Tiburtina, durante le operazioni di bonifica di residuati bellici viene ritrovato un rilievo romano in marmo, distrutto e ridotto a una sessantina di frammenti. Era stato con ogni probabilità disintegrato da un bombardamento durante la guerra. La Soprintendenza archeologica raccoglie i pezzi, li restaura e ricompone buona parte del rilievo come in un puzzle. Una volta rimontato, si vede che il rilievo raffigura il dio Mitra nell’atto di uccidere il toro (è la raffigurazione più tipica di Mitra). Mancano però alcune parti, perdute nell’esplosione: la testa del dio, le due mani, la testa del toro. I restauratori rimettono insieme quel che ne resta, il rilievo viene pubblicato su un periodico scientifico, e finisce nei magazzini del Museo nazionale romano per decenni.
Passano venticinque anni e uno studioso svizzero, Rolf Andreas Stucky, studiando alcuni materiali archeologici del Badisches Landesmuseum di Karlsruhe, vede esposta una testa in marmo del dio Mitra. La scultura in sé è abbastanza insignificante; gli viene in mente però che chissà, forse, quella testa potrebbe appartenere a quel rilievo frammentario trovato venticinque anni prima a Roma e di cui si ricorda di aver letto il resoconto di scavo. Prende un po’ di misure, contatta il Museo nazionale romano, e si capisce che forse sì, è proprio quello. A quel punto si muove la diplomazia tra Roma e Berlino. Si prendono contatti, si vede che aria tira, si cerca di capire se c’è margine per una trattativa; gli italiani sondano la disponibilità dei tedeschi a restituire il frammento e i tedeschi la determinazione degli italiani a farselo restituire. Insomma, ci si parla.
Prima di tutto, va da sé, bisogna riunire i pezzi e verificare che effettivamente combacino. Si decide così di organizzare a Karlsruhe una mostra sulla religione romana. Il Museo nazionale romano spedisce in prestito il rilievo frammentario in Germania, il rilievo arriva a Karlsruhe, restauratori italiani e tedeschi lo accostano al frammento con la testa e bingo! Attacca. Si fa questa mostra, molto bella e di grande successo. Il frammento quindi – ormai è provato – è finito nel museo di Karlsruhe illegittimamente e di certo bisogna trovare il modo per farselo restituire. Il museo di Karlsruhe, da parte sua, sarebbe anche ben disposto a restituire la testa all’Italia per ricostituire l’unità del rilievo. Del resto nessun museo statale ha interesse a che le proprie collezioni siano riconosciute come frutto di furti. Però.
Però le leggi tedesche sui beni culturali, così come quelle italiane, sono rigorose: il patrimonio culturale, una volta entrato nelle proprietà dello Stato, è inalienabile. Lo Stato non può cedere la proprietà di un bene culturale, archeologico o artistico. Neanche volendo. In Italia lo vieta espressamente il codice dei beni culturali, e anche in Germania. I funzionari italiani capiscono che impuntarsi per una restituzione unilaterale difficilmente porterà qualche risultato. Si trova allora una soluzione di compromesso, l’unica legalmente praticabile: la Germania consegna all’Italia la testa con la formula del deposito a lungo termine (la stessa grazie alla quale nelle ambasciate italiane all’estero o in quelle straniere a Roma ci sono statue di proprietà dei musei italiani). In pratica un prestito di lunga durata, da rinnovare a scadenza fissa. La proprietà della testa di Mitra resta formalmente della Germania, anche se il pezzo rimarrà in Italia “speriamo per sempre”, come dice la responsabile del museo tedesco durante la conferenza stampa. In cambio del “favore”, l’Italia cede con la stessa formula un paio di statue (non di grandissimo pregio, a dire il vero) al museo di Karlsruhe. Si fa una bella conferenza stampa, con italiani e tedeschi insieme tutti contenti di questa proficua collaborazione, e si inaugura il nuovo allestimento in una sala del Museo nazionale romano appositamente rinnovata per l’occasione.
Non è finita. Tutta questa risonanza mediatica fa sì che il rilievo di Mitra divenga piuttosto noto tra gli addetti ai lavori. Così, due anni dopo succede che i Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale di Cagliari, mentre fanno un controllo amministrativo presso un antiquario cagliaritano, vedono esposto un frammento di marmo con la testa di un toro, e viene loro in mente che, forse, quella testa… avete capito. Sequestrano il pezzo, e lo portano a Roma. E sì, attacca anche quello. Oggi il rilievo di Mitra, quasi completamente integro, è il pezzo più importante della sala dei culti orientali del Museo nazionale romano, alle Terme di Diocleziano. Tutti contenti, tutti hanno fatto una bella figura. Il rilievo non solo è tornato in Italia ma, cosa più importante, è di nuovo tutto intero.
La partita per il rientro del Vaso di fiori di Jan van Huysum, invece, è appena iniziata, e al momento è impossibile fare previsioni sul suo esito. Ma se la famiglia che detiene il Vaso di fiori di Jan van Huysum lo restituirà infine a Palazzo Pitti, certo non lo farà perché l’Italia ha minacciato il governo tedesco di sospendere i prestiti ai suoi musei. Se c’è una cosa che dovremmo aver capito in decenni di diplomazia culturale è che certe faccende non si risolvono facilmente né coi muscoli né col nazionalismo fanfarone, ma più spesso e più efficacemente con la diplomazia, la cooperazione, tanto ago e tanto filo.