In Italia tira aria di Inquisizione. Negli stessi giorni in cui Raiuno manda in onda Il nome della Rosa, il governo si accinge a presentare un progetto di riforma del processo penale. Le bozze del progetto di legge prevedono tra l’altro misure per espandere il giudizio immediato, restrizioni al giudizio di appello, la reintroduzione dell’appello incidentale del pubblico ministero, in uno scambio scoperto tra garanzie dell’imputato ed efficienza processuale. Se le riforme sono figlie dello spirito del tempo, c’è da augurarsi che non nascano dal sentimento giustizialista che si respira dappertutto, dalla maggioranza di governo agli ambienti che un tempo, evidentemente, fingevano di essere liberali e garantisti. Oggi sembra naturale invocare una giustizia rapida e inesorabile, che non tradisca la volontà popolare e non ne ferisca la suscettibilità, una giustizia senza troppi pesi e contrappesi, così da minimizzare il rischio che il suo cammino sia intralciato da assoluzioni, prescrizioni e archiviazioni. Insomma, viene naturale aspirare a un modello di giustizia sommaria come quello dell’Inquisizione. Stiamo attraversando una fase storica in cui il grado di progresso sociale che possiamo rivendicare è avere sostituito Bernardo Gui con i social network. Ogni sentenza ormai deve passare al vaglio della corte di Cassazione e a quello dell’indignazione popolare, soprattutto se è una sentenza di assoluzione o una condanna a qualcosa di meno del carcere a vita.
Era il 16 marzo 1782 quando Ferdinando di Borbone firmò il decreto che aboliva l’Inquisizione nel Regno di Sicilia – diventando così un campione dell’Europa illuminista – con la giustificazione che nell’isola la religione cattolica era rimasta pura e le eresie non avevano mai attecchito, ma soprattutto che il Tribunale funzionava con procedure ormai contrarie al diritto comune. Il Tribunale del Santo Uffizio era una macchina molto costosa, e con i soldi risparmiati dalla fine di inquisizioni, torture e supplizi, a Palermo vennero finanziate istituzioni come l’osservatorio astronomico e l’Accademia degli studi, che poi diventò l’università, mentre nel luogo in cui venivano appiccati i roghi – il piano di Sant’Erasmo – fu trasferito l’orto botanico. Il terrore inquisitoriale fu bandito e il denaro speso per torturare, giudicare e bruciare fu destinato all’osservazione degli astri e agli studi per capire meglio l’uomo, e perché l’uomo riuscisse a capire qualcosa di sé. Dove un tempo si incenerivano gli eretici e le loro devianze ora si coltivavano piante medicinali e si creavano giardini monumentali. Un contrappasso meraviglioso. Ma per raggiungere quell’obiettivo sono stati necessari qualche centinaio d’anni, tutto l’Illuminismo e un sovrano d’intelligenza non comune. Speriamo di non averne presto nuovamente bisogno.