La nuova destra italiana ha tanti difetti, tra cui quello non secondario di rappresentare un pericolo per la democrazia, ma ha il pregio della chiarezza e della leggibilità delle intenzioni. Antieuropeismo, populismo penale, invito all’autodifesa armata, sacralizzazione della proprietà privata e dei confini, diffidenza per lo stato, xenofobia e un antisemitismo appena camuffato da antiglobalismo sono parte di un’agenda prima ideologica che politica, costruita parimenti contro la cultura illuminista e la dottrina sociale della chiesa. Ed è un’agenda globale, non certo un’invenzione di Matteo Salvini.
Questa agenda, più che compatibile con la retorica anticasta, ha come riferimenti internazionali la triade Trump-Putin-Bolsonaro, e sottintende un’idea del mondo, dell’uomo e del ruolo dei cristiani molto diversa da quella espressa dal cattolicesimo italiano non solo sui problemi di carattere umanitario, come ad esempio la gestione degli sbarchi – fino a oggi il più evidente punto di conflitto – ma anche rispetto al ruolo della religione nella sfera pubblica.
Per un allineamento niente affatto casuale oggi i paesi Visegrad trovano nell’atteggiamento di Salvini la conferma di tutte le loro accuse all’Italia, giudicata colpevole di avere aperto le porte dell’Europa a un’orda barbarica che minaccerebbe la purezza delle loro culture nazionali. Il motto «Chi sbarca in Italia sbarca in Europa», agitato da coloro i quali premono per il superamento del Trattato di Dublino, viene ribaltato così in un’accusa che trova conferma nell’atteggiamento del ministro dell’Interno e nella soluzione delle frontiere sigillate, che resta l’unica strada per chi sposi questa paranoica lettura della realtà, in cui identità religiosa e identità nazionale vengono sovrapposte.
Uno degli ostacoli principali a questa visione viene però dal mondo cattolico, dal magistero di Papa Francesco, e dagli stessi organi di stampa dell’episcopato italiano. Trump e Bolsonaro possono infatti contare sul sostegno diretto ed esplicito delle chiese evangeliche, e Putin sulla solidarietà della chiesa ortodossa, nel nome di un diretto protagonismo delle fedi in chiave oscurantista del tutto estraneo alla vicenda storica dei cattolici italiani, sia nell’epoca della loro unità politica nella Democrazia cristiana sia in quella successiva.
Nel disegno di Matteo Salvini e dei vari fratelli minori della nuova destra italiana il congresso delle famiglie di Verona (anche la ministra della famiglia del governo brasiliano, Damares Alves, era presente) è stato il tentativo di affrontare questo problema brandendo la religione in chiave identitaria e illiberale, cercando di tradurre in lingua italiana il messaggio degli ortodossi dei paesi Visegrad e degli evangelici di oltreoceano, sfidando sul piano nazionale i cattolici italiani e su quello globale Papa Francesco, individuati come ostacolo, al pari e forse più di ogni minoranza, al conseguimento dell’egemonia sul discorso pubblico. E con ragione: additare come nemici le minoranze è facile, più difficile è pretendere di sostituire il magistero del Papa con quello di Steve Bannon.
Questa direzione di marcia della destra italiana, oltre ad avere imposto una reazione – benvenuta e positiva – ai movimenti per i diritti che sono cresciuti e hanno incassato importanti successi in questi anni, impone ora una riflessione al Partito democratico, che oggi è nella sostanza l’unico partito di opposizione e che ha nel cattolicesimo democratico una delle sue radici fondamentali. Certo non è compito che possa intestarsi una corrente, o peggio un altro partitino ad hoc: rispondere alla domanda di rappresentanza politica di chi condivide un’idea di civiltà e di democrazia che è largamente debitrice del pensiero cattolico (ma non si esaurisce in esso) è una questione che il Pd non può eludere né delegare ad altri, se vuole avere ancora un posto nella storia del paese.