Ci sono molti modi di difendere un governo che ha già dalla sua la maggioranza parlamentare e forse anche la maggioranza dei consensi, e se ne fa forte per predicare l’odio contro gli immigrati, fare pressioni sulle forze dell’ordine per utilizzarle contro ong e avversari politici, e allo stesso scopo non esita ad abusare del proprio potere in mille altri modi (salvo poi proteggersi dietro l’immunità), minacciando così la tenuta dello stesso stato di diritto, cioè la libertà e il futuro di ognuno di noi.
Per un po’ sono andati per la maggiore i disumanisti. Quelli capaci cioè di rimproverare a chiunque anche il più banale gesto di umanità compiuto nei confronti di uno straniero, perché prima bisognerebbe pensare agli italiani. Mancanza che ovviamente non rimproverano mai a chi si faccia semplicemente gli affari suoi e non aiuti proprio nessuno, né italiano né straniero (perché in tal caso dovrebbero rimproverare prima di tutto se stessi). In breve, i disumanisti sono quelli che ogni giorno si impegnano perché il mondo sia un po’ peggiore del giorno prima, facendo quanto in loro potere per intimidire, dissuadere, scoraggiare qualunque atto di umana solidarietà nei confronti del prossimo, con l’argomento che ci sarebbe sempre un altro prossimo, più prossimo, che dovrebbe venire prima. E che non viene mai.
Ora però va maggiormente di moda un altro genere di critica, più sottile, ma fondamentalmente analoga, che potremmo definire iperrealista. Quella cioè di chi non contesta il principio secondo cui salvare degli esseri umani è cosa buona, e difendere i soccorritori da chi vorrebbe metterli in galera è pure giusto e doveroso. Non lo contesta in linea di principio, ma al tempo stesso osserva che così facendo – e lo dice naturalmente con la morte nel cuore – si finisce per fare il gioco dell’avversario, cioè proprio di quelli che vorrebbero mettere la solidarietà fuori legge. Per questa ragione, dunque, cioè per non fare il loro gioco, sarebbe meglio lasciarli fare tutto quel che vogliono, senza disturbarli, o perlomeno non disturbarli quando se la prendono con minoranze malviste da buona parte della popolazione: oggi gli immigrati, ieri i rom, domani – chissà – gli omosessuali, le femministe, gli ebrei.
Il realismo politico è diventato così l’ultima maschera retorica del più puro conformismo. Secondo questa filosofia, se la maggioranza ce l’ha con gli stranieri, una forza di opposizione democratica e popolare che non voglia apparire snob, elitaria, autoreferenziale, dovrebbe dire che sì, insomma, magari ammazzarli di botte per strada sarà un filo esagerato, ma pure questi stranieri un po’ se le cercano.
Tra i maggiori sostenitori di questo conformismo mascherato da realismo politico – da ora in avanti, per brevità, Realconformisti – si segnalano in particolare gli inconsolabili nostalgici dell’ex ministro Marco Minniti, al quale consiglieremmo di dissociarsi quanto prima da simili estimatori, perché gli rendono davvero un pessimo servizio. Per i Realconformisti ogni problema che affligga gli italiani – da ultimo persino il decennale problema degli scarsi livelli di istruzione al sud – è un buon pretesto per attaccare chi, invece di preoccuparsi di questo, va a preoccuparsi di migranti e ong, come quei parlamentari del Pd che sono saliti sulla Sea Watch. Una tipica applicazione del principio «prima gli italiani».
Questo modo di ragionare e di argomentare è moralmente bacato, e in quanto tale lo respingiamo, perché irricevibile, oltre che fasullo: è evidente a tutti che basta non salire sulla Sea Watch, non difendere volontari, migranti o rom, per potersene serenamente infischiare degli italiani poveri, degli italiani terremotati e di qualunque altra italica calamità. Detto questo, per pura pignoleria, vorremmo precisare che un tal modo di ragionare è anche straordinariamente fesso.
Il problema dei Realconformisti è che, accecati dal conformismo, non vedono la realtà, che è molto più mutevole di quanto il loro istinto gregario li porti a credere. Certo, oggi il vento soffia nelle vele dei populisti più aggressivi e xenofobi, ma non è restandosene in silenzio adesso, quando c’è più bisogno di qualcuno che reagisca e si opponga, che si conquisteranno i consensi elettorali di domani. Al contrario. Politici che per difendere i principi più fondamentali non siano disposti a stare in minoranza nemmeno per cinque minuti, quale forza, quale credibilità, quale diritto avranno, domani, nel rivendicare le loro ragioni, ripudiate o nascoste proprio quando più sarebbero servite? Vale per i politici. Varrà forse un giorno, chissà, persino per gli opinionisti.