Diversi anni fa mi capitò di ascoltare un famoso notaio romano che spiegava ad un drappello di giovani artisti che avevano occupato un teatro romano, riunendosi poi in una associazione regolarmente registrata e dotata di uno statuto vidimato, che “la rivoluzione non si può fare dal notaio: o si va dal notaio, o si fa la rivoluzione”. A questo pensavo nei giorni scorsi mentre leggevo dell’ennesima bufera calata su Festival di Sanremo e che ha coinvolto il rapper romano Junior Cally: se non si può fare la rivoluzione dal notaio, si può rivendicare di essere antisistema a Sanremo?
Non conoscevo l’opera di questo giovane uomo ma ho letto i testi di alcune sue canzoni e le ho trovate davvero sgradevoli, machiste, verbalmente violente, offensive nei confronti delle donne – di quelle che ne sono consapevoli ma anche di quelle che non se ne accorgono. Ci ho visto dentro la banalità di parole e concetti che vengono ripetuti e cavalcati opportunisticamente per soddisfare le aspettative del proprio pubblico, i rapper fighi parlano così e raccontano di come maltrattano le femmine. Quei testi mi sembrano, cioè, una coprolalia tanto più volgare, offensiva e brutta proprio perché calcolata e strumentale.
Quando poi il nostro rapper afferma che raccontando di donne picchiate vuole evidenziare un fenomeno da combattere, è evidente dalle reazioni sui giornali e sui social che il suo tentativo di destabilizzazione per via di controintuizione, non ha neanche lontanamente colpito il suo obiettivo. Dal che, uno che scrive canzoni dovrebbe forse far discendere una serie di considerazioni sulla propria capacità di comunicare. E anche senza minimamente mettere in dubbio la libertà artistica dell’autore, non riesco a fare a meno di domandarmi se non sarebbe stato più efficace, e tutto sommato meno banale, volendo lottare contro la violenza sulle donne cantare una cosa come “Ehi, lo sai che se che picchi le ragazze e sputi sugli immigrati sei proprio una merda?”? Ma questa è la mia percezione e vale, quindi, quel che vale.
Ma tornerei al primo tema, e cioè al perché un rapper così alternativo, antisistema, ribelle, mascherato fino a qualche tempo fa, decida di andare a Sanremo. Perché il Festival, che tutti gli anni va in onda su Rai 1, la rete più istituzionale e tranquillizzante nel panorama televisivo italiano, è senza dubbio il più grande spettacolo nazional-popolare della tv pubblica, fatto di canzoni ma anche di scenografie maestose, di investimenti pubblicitari, di abiti lunghi e smoking, di acconciature complicate, di luci e scalinate e doppie scalinate, di “sono emozionato e molto felice di essere qui”.
Mi è più semplice comprendere perché molti cantanti abbiano fatto questa scelta ancora venti, o anche dieci anni fa, quando la televisione nazionale generalista era il più grande palcoscenico, di fatto l’unico, per prendere lo slancio nel salto verso la notorietà nel mercato musicale. Però oggi della televisione generalista si continua a parlare come di una sorta di fossile che le giovani generazioni evitano, quando non schifano; e d’altra parte la musica tutta, soprattutto quella che nasce dentro i circuiti non ufficiali, passa da anni attraverso canali che non impongono un palinsesto predeterminato. Il mercato musicale si fa dentro Youtube, Spotify, le reti sociali, il mercato disintermediato degli scaricamenti sullo smartphone e così via. Di uguale al passato, oltre alle radio di flusso, ci sono i concerti negli stadi e nelle discoteche, dove però, oggi, i giovanissimi fan di molti rapper arrivano spesso accompagnati dai genitori. È un mondo tutto nuovo, che però è disposto ad adattarsi ai media “analogici” e generalisti quando gli è utile.
Penso a due obiezioni: la prima è che Sanremo deve adeguarsi a nuovi tempi, linguaggi e piattaforme e che Sanremo può essere un modo per trovare un terreno comune con le nuove generazioni lontane ormai anni luce dalla tv generalista. E che quindi è giusto mischiare generi e linguaggi musicali diversi per accontentare tutti, almeno un po’. Ma questa obiezione non risponde alla mia domanda, vale a dire perché un cantante così fuori dagli schemi decida di incasellarsi dentro la manifestazione musicale più tradizionale e rassicurante della storia della televisione italiana. Mi si potrebbe dire, e questa è la seconda obiezione, che uno come Junior Cally con le sue canzoni vuole contaminare il “sistema” dall’interno, come fosse un virus informatico. Vuole usare Sanremo per far passare un “messaggio”. Ma pure se tutto è cambiato rispetto agli anni e ai decenni passati, non posso non ricordare che Sanremo, con la apparente bonomia, è sempre riuscito a inglobare come un enorme blob tutti coloro che hanno tentato di cambiarlo, rendendoli incapaci di nuocergli o espellendoli dal sistema. Penso a Fo e Rame, al povero Tenco o, con esiti diversi, a Vasco Rossi o a Zucchero.
Insomma, mi si dirà che le cose si sono evolute e che lo scorso anno ha vinto il giovane Mahmood, ma io continuo ad avere la sensazione che, anche per l’irriducibile antisistema Junior Cally, Sanremo sia non tanto una piattaforma da hackerare quanto una passerella per provare ad avere successo, quello “vero”, quello consacrato dalla programmazione nelle grandi radio e delle ospitate nella fossilizzata tv generalista. Il che, sia chiaro, è perfettamente normale. Quasi sempre coloro che hanno l’ambizione di esprimere se stessi attraverso le arti vogliono raggiungere ed essere apprezzati – e, nello specifico, downloadati – dal più ampio pubblico possibile: insomma vogliono esprimersi ma vogliono anche la fama e ciò che ne consegue. Ci sta.
Ma nel passaggio dalla piazza al Palazzo, caro Junior, sei proprio certo che conserverai, ammesso che sia un vantaggio, la tua coerenza? Sei certo che serberai quella pretesa – per quanto incompresa – “carica eversiva” che ti ha portato fino a lì? Senza “vetrine scoppiate” e mignotte, dovendo addolcire i toni degli stereotipi, violenti e vittimisti insieme, del ragazzo cattivo pieno di rabbia, dolore e voglia di rivalsa, non si rischia di svelare che sotto la maschera che faceva sognare i tuoi piccoli fan, c’è molto meno di quanto si immaginava? Insomma ho la sensazione che il nostro il nostro rapper, che oggi si difende dalle critiche come un politico qualsiasi affermando di essere stato frainteso, vuole proprio fare la rivoluzione andando dal notaio, dimenticando che però la rivoluzione non è un pranzo di gala e tanto meno il televoto del Festival di Sanremo.