Film che vendono 27 biglietti, pellicole che non escono nelle sale (eppure incassano: meglio sarebbe dire che lo Stato rinuncia ad una quota di entrate fiscali), milioni di euro dallo stato attraverso il meccanismo del tax credit. Il meccanismo delle detrazioni fiscali è una delle leve più utilizzate (forse anche alquanto abusate) nelle politiche industriali e di sostegno di settori molto rilevanti di attività: dall’edilizia, all’industria delle automobili. Il cinema è cultura, è una forma d’arte, ma è anche un’attività economica che alla fine del ciclo produttivo realizza segni positivi per redditi prodotti, entrate fiscali, indotto ed economie di scala. Non è così per tutte le arti e i linguaggi artistici che per questo necessitano e meritano il sostegno diretto dello Stato: come per esempio per la lirica, appena dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
Nella recente Assemblea organizzata il 5 aprile scorso al Cinema Adriano a Roma dalle organizzazioni di produttori, agenti, attori e lavoratori del settore sono stati illustrati dati interessanti e di cui occorrerebbe tenere conto in ogni discussione sul cinema e l’audiovisivo.
Prima di tutto, di cosa parliamo quando parliamo di industria cinematografica?
La filiera cinematografica e audiovisiva è composta di circa 9.000 imprese, 65.000 posti di lavoro diretti e 114.000 nelle filiere ad essa connesse. L’Italia è il quarto mercato di riferimento in Europa, con 13 miliardi di fatturato, pari al 10 per cento del totale europeo. La Cassa Depositi e Prestiti ha stimato che ogni euro investito nella produzione cine-audiovisiva, ne genera 3,54. Si tratta quindi un ottimo investimento, anche rispetto ai 768 milioni di entrate fiscali a cui lo Stato ha rinunciato nel 2022. Chi ha beneficiato di queste risorse? Il cinema italiano per 175 milioni; il settore cine-audiovisivo internazionale, e quindi imprese estere che sono venute a lavorare in Italia, per 338 milioni; l’audiovisivo italiano, dalla fiction televisiva, ai documentari, fino alla divulgazione culturale.
Forse produciamo troppo e incassiamo troppo poco? Nel 2023 l’Italia ha prodotto 176 film – in Francia sono stati 191 – e ha visto incassi per 112 milioni di euro: secondi in Europa, con il 24%. L’80% degli incassi realizzati va a sole tre case di distribuzione: Vision, Medusa e 01 Distibution, cioè la Rai. Una parte non trascurabile dell’investimento dello Stato in tax credit e, più in generale, nel Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo, alimenta quindi un’azienda di proprietà del Ministero dell’Economia e delle Finanze. E non c’è assolutamente nulla di male, tutt’altro, anche perché le risorse vanno al cinema ed audiovisivo, ma proprio da lì arrivano. L’articolo 13 della Legge di Disciplina del cinema e dell’audiovisivo prevede che equivalgano «all’11 per cento delle entrate effettivamente incassate dal bilancio dello Stato derivanti dal versamento delle imposte a fini IRES e IVA dall’attività di distribuzione e proiezione cinematografica di video e programmi televisivi, erogazione di servizi di accesso a internet e telecomunicazioni».
Il cinema italiano non è un settore assistito. Al contrario, è una fonte di ricchezza e lavoro preziosa per il nostro paese, nel mentre produce idee, cultura, consapevolezza e comprensione del mondo, in una parola: arte. Ma forse è proprio questa la ragione del tentativo di denigrazione: l’arte e la cultura sono un antidoto al populismo.