Trovare una definizione per Nellie McKay è un esercizio complicatissimo. La critica si è sbizzarrita nel cercare analogie, creando strani mostri con le mani di Keith Jarrett e la voce di Ella Fitzgerald. L’album di debutto della ventiquattrenne pianista-cantautrice americana, “Get Away From Me” del 2004, è un concentrato di eccentricità. A partire dal formato: un doppio cd della durata complessiva di poco più di un’ora. Sarebbe bastato un singolo disco, ma la McKay ha insistito nel voler dare un tocco retro alla sua opera, dividendola in due parti chiamate “Side 1” e “Side 2”, proprio come i lati degli Lp di una volta. Il contenuto, poi, è ancora più spiazzante: si passa con estrema disinvoltura da canoniche ballate jazz (“Manhattan Avenue”) a onomatopee canine (“The Dog Song”), da pezzi da cabaret (“It’s a pose”) a numeri rap che non sfigurerebbero in un album di genere (“Sari”). Un lavoro non destinato a tutti i palati, ma ottimamente recensito e acclamato da un consistente zoccolo duro di fan.
Nonostante la cantante si chiedesse ironicamente, durante “Clonie”, “should have signed with Verve (una delle maggiori etichette americane di jazz) instead of Sony?”, la controllata Columbia Records volle sfruttare l’entusiasmo generato da “Get Away From Me” con un immediato nuovo album. “Pretty Little Head”, dopo una serie di rinvii, sarebbe dovuto uscire nel gennaio di quest’anno. La McKay aveva presentato un album sulla falsariga del primo: un doppio cd da 23 canzoni. La Columbia invece voleva una cosa più agile: un cd singolo da 16 pezzi. Col susseguirsi dei ritardi, la cantante dava segni sempre maggiori di insofferenza, concludendo i propri concerti in preda a crisi di pianto o divulgando al pubblico l’indirizzo e-mail del presidente della Columbia per poterlo riempire di lettere di protesta. La dirigenza decise che la misura era colma e optò per la cancellazione del nuovo album. Di fatto, un foglio di via, subito seguito dalla separazione fra cantante e casa discografica. La McKay, quasi sollevata di non dover subire più il controllo creativo della major, fece buon viso a cattivo gioco buttandosi nella recitazione, anche qui con risultati eccellenti: la sua interpretazione dell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht le ha fruttato un Theatre World Award, premio destinato alle migliori performance di attori esordienti. In tutto questo, nessuna notizia del nuovo album, che tra varie voci di un’imminente uscita, sembrava essere caduto in una specie di limbo.
La cosa buffa della situazione è che di “Pretty Little Head”, che dovrebbe teoricamente essere un oggetto misterioso, si sa quasi tutto. La Columbia, prima del precipitare della situazione, aveva infatti distribuito alcune copie della versione “corta” del cd a critici e recensori. E, al giorno d’oggi, questo equivale a trovare l’album su un qualsiasi circuito peer-to-peer in tempo zero. Così si sono già potuti ascoltare i duetti con k.d.lang e Cyndi Lauper, le invettive contro la vivisezione (“Columbia Is Bleeding”) e a favore dei matrimoni omosessuali (“Cupcake”), in un album che continua a testimoniare l’abilità tecnica, la ricerca vocale e la poliedricità di Nellie (si confrontino il disteso jazz di “Long and Lazy River” e le sferzate quasi punk di “Real Life” per averne conferma) all’interno di un discorso più fluido e meno discontinuo rispetto all’esordio.
E’ dei giorni scorsi la notizia che, dopo nove mesi di battaglia legale, “Pretty Little Head” uscirà finalmente il prossimo 31 ottobre, a oltre un anno dalla data originariamente prevista. Il formato è quello da 23 canzoni, l’etichetta è quella appena fondata dalla McKay, la Hungry Mouse. La ragazza ha talento, ma soprattutto non ha paura di usarlo.