Un decreto contro l’integrazione

«Considerata la straordinaria necessità e urgenza di introdurre norme per rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica». Fa sorridere che in un paese che ha vissuto l’emergenza del terrorismo, le bombe, le stragi di mafia, e che secondo le statistiche è ogni anno progressivamente più sicuro, si debba ricorrere al decreto legge per legiferare sul diritto alla protezione umanitaria e la concessione della cittadinanza. Tanto da far dubitare seriamente che in questo caso esistano i presupposti per la decretazione d’urgenza.

Se non fosse per la durezza dei suoi contenuti, si potrebbe sorridere anche per la conferenza stampa di presentazione del decreto: da una parte il poliziotto, burbero ma buono, che elenca i diritti che si stanno cancellando in nome del bene comune (nell’ordine il diritto alla protezione umanitaria, il patrocinio a spese dello Stato, la presunzione di innocenza, il diritto di difesa), dall’altra il contrappunto rassicurante dell’accademico titolato – e, incidentalmente, presidente del Consiglio – che assicura: «Non arretriamo su diritti e garanzie, non cacciamo nessuno dall’oggi al domani». L’approvazione di un decreto sicurezza che prevede quasi solo norme sui richiedenti asilo è il totem perfetto di un governo alla perenne ricerca di un capro espiatorio.

Siccome questo è il governo delle risposte semplici alle domande sbagliate, il decreto sembra ideato per creare una condizione di irregolarità diffusa, alimentando l’insicurezza. Revocare la cittadinanza in caso di condanna in primo grado, aumentare i tempi per la sua concessione, abolire le protezioni internazionali, creare centri di detenzione e smantellare il sistema di accoglienza diffusa degli Sprar significa creare decine di migliaia di fantasmi senza diritti, costringendoli a una condizione di illegalità. L’aumento da due a quattro anni del tempo per la concessione della cittadinanza, rivolto a persone che hanno già vissuto regolarmente nel nostro paese per dieci anni, lavorando e pagando le tasse, è invece pura cattiveria, senza contare che due anni per istruire una pratica di cittadinanza, in un’amministrazione efficiente, sono comunque troppi.

Il governo ha scelto all’unanimità di approvare un decreto che non migliora in alcun modo la sicurezza e mira evidentemente a demolire un sistema di integrazione che – seppure con i suoi difetti – fino a oggi ha funzionato. Non si vogliono proteggere i richiedenti asilo, non si vuole salvare nessuno dalla schiavitù, così come non si vuole combattere il traffico di esseri umani, se non come effetto collaterale del blocco di ogni flusso migratorio – nel decreto non c’è una sola riga che incida sugli strumenti a disposizione per reprimere il traffico di esseri umani – ma si vuole rendere impossibile e più caotica l’integrazione.

Nelle prossime settimane, probabilmente, i sondaggi mostreranno “soddisfazione” per i provvedimenti del governo. Lo sappiamo, è una battaglia difficile. Una ragione di più per impegnarsi nel contrastare con forza un decreto che promette sicurezza in cambio di diritti, non darà alcuna sicurezza e si terrà i diritti.